Eccoci al sesto appuntamento con gli articoli dedicati alla teoria dei nudge. Come abbiamo già approfondito nelle puntate precedenti, gran parte dei pungoli concepiti dagli architetti delle scelte servono per agevolare, in qualche modo, le persone a scegliere nel modo migliore, in quello più agevole e meno frustrante possibile.

Non deve stupire, quindi, che in linea generale, le persone preferiscano che una scelta già impostata, che potremmo definire di default, sia preferita rispetto a un’altra obbligatoria che imponga una decisione cosciente dell’individuo. Vediamo nello specifico.

La scelta di default

Chiunque di noi, nella vita, ha avuto a che fare con un pc, fisso o portatile che sia: come fanno notare Thaler e Sunstein nel loro volume dedicato ai nudge, è altamente probabile che se ci si trova ad allontanarsi dallo schermo per pranzo, per una telefonata o una sigaretta con i colleghi, lo schermo si oscuri automaticamente con uno screensaver. Se la pausa dal pc si prolunga ulteriormente, è possibile che esso si spenga del tutto.

Ecco, l’ibernazione del pc e l’attivazione dello screensaver sono scelte di default che tendenzialmente non modifichiamo mai, anche se davanti al pc passiamo gran parte della nostra giornata. Il fatto che il computer si “spenga” per non consumare energia quando noi siamo distratti e ci dimentichiamo di sospendere le attività di nostra spontanea volontà ci fa sicuramente molto comodo: il nostro impegno, per risparmiare un po’ di batteria, è pressoché nullo. Già mettere mano per impostare un lasso di tempo più ampio di tempo oltre cui il pc si disattivi richiede un’applicazione e un impegno mentale raro. Ed è per questo che molti di noi continuano a vedere lo schermo annerirsi seguendo l’impostazione di default.

Un discorso simile si può applicare agli abbonamenti alle riviste, sempre meno diffusi ahimè: è molto probabile che se la nostra sottoscrizione prevedesse un rinnovo automatico, per anni abbiamo continuato a ricevere riviste anche se abbiamo smesso di leggerle dopo il secondo numero. Annullare l’abbonamento è molto più faticoso a livello mentale che ritrovarsi la cassetta della posta piena una volta al mese.

C’è da sottolineare come le scelte di default siano inevitabili da adottare in moltissimi frangenti della nostra vita. Non sempre, però, esse sono concepite per fare il gioco dell’individuo, per agevolarlo. Sicuramente, rispetto a una scelta obbligata, quella di default suona e viene percepita come più blanda e meno assertiva.

La scelta obbligata può essere utile ed efficace davanti a decisioni dicotomiche, in cui all’individuo è richiesto di rispondere con un sì o un no, ma non per scelte difficili. Quando ci troviamo davanti all’installazione di un software, ad esempio, è davvero raro che ognuno di noi si metta a leggere pagine e pagine di informazioni complesse e spesso incomprensibili ai più per decidere o meno se completare l’operazione o meno. Al contrario, è altamente probabile che prima del processo, venga suggerito all’individuo un’installazione – guarda caso – di default, che sembrerà quella più mediata e ragionevole, quella che il produttore del software suggerirebbe a un utente medio.

Errare è umano…

In una società ben funzionante, si è capaci di mettere in conto che, in quanto esseri umani, tutti noi siamo portati a sbagliare e quindi, quando possibile, si possono prevedere meccanismi efficaci per evitare che il sistema si inceppi al minimo inciampo.

Mettiamo i biglietti della metro di Parigi, per esempio: un esempio che anche Thaler e Sunstein citano nel loro volume. Quando ai tornelli per accedere ai binari ci viene richiesto di vidimare il biglietto, le obliteratrici teoricamente richiederebbero a ogni passeggero di inserirlo nel verso giusto, quello con la banda “magnetica” verso l’alto. Sebbene i più attenti si attengano effettivamente a questa regola, le obliteratrici riescono a leggere e risputare fuori anche i biglietti inseriti in sensi errati. I tornelli si aprono anche per i passeggeri distratti.

Un altro esempio molto chiaro: in quanti, dopo aver fatto benzina, hanno rischiato di dimenticare il tappo del serbatoio sul tettuccio dell’auto? Ebbene, questo errore molto diffuso viene definito di “post-completamento“: il nostro cervello sente di aver assolto il compito principale – fare benzina – e dimentica di farne uno secondario eppure altrettanto importante.

Come detto, l’architetto delle scelte deve essere bravo ad anticipare l’errore e presentare soluzioni che impediscano alle persone di continuare a commetterlo. Ecco perché oggi è molto facile trovare il tappo del serbatoio assicurato con una linguetta di plastica.

L’errore di post-completamento si può arginare anche imponendo un’azione prima di quella principale, così che si evitino eventuali dimenticanze. Non è un caso che al bancomat, prima di poter ritirare le banconote, sia necessario prima recuperare la carta di credito.

Ti sei perso i nostri articoli sul nudge? Recuperali qui:

  1. A lezione di nudging: Cos’è la spinta gentile
  2. Planning fallacy, inerzia, applicazioni behavioural
  3. Framing e Anchoring
  4. Percezione del rischio: disponibilità, ottimismo, fiducia
  5. Influenze sociali e ignoranza pluralistica

Fonti:

Nudge, R. Thaler, C. Sunstein, Feltrinelli, 2008