Con un intervento di Clara Bovetti, Senior Art Director di Ottosunove

Migliore leggibilità, riconoscibilità e adattabilità a qualsiasi canale o device: con l’ascesa dei social network e della comunicazione digitale numerosi brand hanno rivisto, a partire dal logo, la propria corporate visual identity, andando a prediligere loghi “flat” e bidimensionali a quelli utilizzati in precedenza, nella maggior parte dei casi con volumi e profondità che simulavano la tridimensionalità.

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Perché si è sentita la necessità di apportare questi cambiamenti? E come reagiscono e percepiscono queste variazioni di stile e identità visiva le generazioni più giovani, native digitali? Il linguaggio grafico adottato da un numero sempre maggiore di brand è in linea con i gusti, le aspettative e la percezione dei consumatori più giovani? Domande a cui ha provato a dare risposte puntuali uno studio di neuromarketing svolto tra Spagna e Portogallo dai ricercatori Luis Mañas-Viniegra dell’Università di Madrid, Dora Santos-Silva Nova dell’Università di Lisbona e Sheila Liberal-Ormaechea, della Francisco de Vitoria University di Madrid.

Loghi e visual corporate identity nell’era digitale

La comunicazione digitale, da vent’anni a questa parte, ha completamente modificato le dinamiche relazioni e le possibilità di contatto tra brand e pubblico, inserendosi come una delle soluzioni più efficaci e dirette  – e oggi essenziali – per costruire relazioni significative e continuative con le persone. 

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Proporsi in ambito digitale richiede ai brand di investire non solo sulla propria presenza, ma anche sulla sua qualità: è chiaro che mettere a disposizione siti web non funzionali, con loghi e immagini di brand non leggibili, allontani le persone dall’interazione con un’azienda e i suoi prodotti. Ciò spiega come sul digitale, prima che agire in ottica additiva, sia preferibile intervenire favorendo semplificazione, essenzialità e funzionalità. Ciò è vero soprattutto oggi, in un mondo in cui quasi tutti gli utenti web, per lo meno in Occidente, non solo dispongono di larghezze di banda e connessioni potenti, ma vivono molte delle esperienze digitali attraverso device portabili e con schermi molto ridotti: prediligere design semplici e “leggeri”, facilmente leggibili e riconoscibili anche da mobile, è perciò una soluzione efficace per garantire un’ottima digital UX e UI.

Perché è importante lasciare il segno con il proprio logo

Che il logo di un brand sia l’elemento più riconoscibile e determinante della visual identity è un assunto diffuso e confermato da numerose ricerche, come citato dai ricercatori iberici nel paper di presentazione della ricerca.

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La visual identity di un brand è sempre soggetta a revisioni e attualizzazioni, proprio per rispecchiare l’evoluzione dell’azienda, per essere coerenti rispetto al proprio target e rispondere alle esigenze dei nuovi mezzi di comunicazione. Diverse ricerche dimostrano infatti come riprogettare il logo di un brand, specie per adattarsi a nuovi canali come il digitale, sia importante per veicolare un’adeguata percezione di aggiornamento e adeguatezza del brand agli occhi del pubblico.

Come esplicitato nella ricerca del 2013 The effects of visual rejuvenation through brand logos effettuata dai ricercatori Brigitte Müller, Bruno Kocher, Antoine Crettaz dell’Università di Losanna, il pubblico è solito accettare anche cambiamenti radicali del logo a condizione, però, che questi siano giustificati da cambiamenti radicali anche dell’azienda: se ciò avviene, avrà un’influenza positiva sull’attitudine e la lealtà dei consumatori rispetto alla marca che dimostra di essere al passo coi tempi.

Scegliere loghi flat è una scelta efficace per i brand?

Proprio per favorire interazioni efficaci e funzionali tra brand e persone, molte aziende negli anni hanno rivisto la propria identità visiva favorendo loghi minimali e bidimensionali, in controtendenza rispetto ai trend della prima decade del Duemila, in cui la “finta tridimensionalità” sembrava prevalere nella visual identity.

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Oggi, come riportato dalla ricerca di Mañas-Viniegra, Santos-Silva Nova e Liberal-Ormaechea, la tendenza suggerisce invece ai brand di scegliere o ottimizzare i loghi affinché abbiano un design “piatto e vivido”, semplice da replicare, flessibile, immediatamente leggibile e riconoscibile, con pochi colori, spesso primari. Ma seppur questa tendenza trovi senso e sia funzionale a livello razionale, fino ad oggi esistevano pochi studi a dimostrazione dell’effettiva efficacia dei loghi flat rispetto all’attenzione dei consumatori, specie se “nativi digitali”.

Obiettivo della ricerca iberica è stato proprio determinare l’elaborazione cognitiva e il responso non conscio di giovani studenti universitari portoghesi e spagnoli rispetto a loghi tradizionali di noti marchi (quindi ancora espressi simulando la tridimensionalità) e quelli attualmente in uso, essenziali, “flat” e bidimensionali. (cioè noti loghi in parte tridimensionali e in parte flat? non si capisce).

Lo studio neuromarketing: strumenti e target

Lo studio ha utilizzato, per stabilire ciò, diversi tool di neuromarketing come eye-tracking, per misurare l’attenzione visiva e lo sguardo dei partecipanti allo studio, e GSR, galvanic skin response, per misurare il grado di attivazione emotiva e fisiologica in risposta a uno stimolo.

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Grazie a questi strumenti, lo studio ha potuto:

  • Determinare la fissazione e l’attivazione emotiva verso gli stimoli;
  • Analizzare le aree di interesse raccogliendo più alti livelli di fissazione oculare; 
  • Individuare le possibili differenze che possono sorgere in base alla nazionalità e al background culturale dei soggetti;
  • Verificare se vi sono discrepanze in base al genere dei partecipanti.

Lo studio ha coinvolto un target di 30 studenti universitari portoghesi e spagnoli d’età compresa tra i 18 e i 23 anni, user regolari di piattaforme digitali. La scelta di questo specifico target premia l’affinità e la predisposizione di questo tipo di partecipanti nei confronti del digitale e dei suoi canali. 

Com’è stato svolto lo studio neuromarketing

Ad ogni soggetto è stato presentata, in modo casuale, una serie di stimoli (loghi tridimensionali e loghi bidimensionali) intervallata ad altri input di intramezzo, non correlati alla ricerca. Non rendere esplicito l’oggetto della ricerca, infatti, ha permesso di determinare e analizzare reazioni più autentiche, impulsive e quindi non condizionate da un brief specifico. Lo studio si è concentrato su una selezione di loghi di brand rilevanti per il target e particolarmente noti in Spagna e Portogallo, che da un logo tridimensionale erano passati di recente ad uno bidimensionale, e appartenenti a tre diversi settori: quello automobilistico (Volkswagen, Hyundai), quello delle telecomunicazioni (Movistar e MEO) e brand di fama mondiale, come Pepsi e Juventus.

 Ogni stimolo è stato presentato per un massimo di cinque secondi, con una pausa tra uno stimolo e l’altro di tre secondi. Il lasso di tempo concesso ha permesso ai soggetti di analizzare rapidamente e di focalizzarsi su aspetti salienti dell’input presentato, tenendo conto che le generazioni native digitali hanno una capacità molto elevata di concentrare la propria attenzione su stimoli rapidi, cogliendo subito informazioni rilevanti. Le variabili in atto nello studio sono state la nazionalità dei partecipanti e il genere, poiché tutti condividevano una simile età e profili socio-culturali simili. 

I risultati dello studio

I risultati dello studio hanno dimostrato come sia a livello di fissazione dello sguardo che di attivazione emotiva, i loghi flat sono più efficaci di quelli tridimensionali per il target di riferimento, nato e cresciuto in un mondo iper-connesso e digitalizzato. Risultati più incoraggianti sono stati ottenuti, nello specifico, da loghi flat che pur mantenendo una certa linea di continuità con i precedenti, attualizzano e rivedono profondamente il design, il font e i colori del logo: un logo bidimensionale troppo simile a quello tridimensionale, invece, non è in grado di catturare in modo sufficientemente efficace lo sguardo delle persone, che fanno difficoltà a distinguerlo e riconoscerlo come flat. Molto efficaci nel mantenere e guidare l’attenzione dell’osservatore, specie in occasione di logotipi, sono strisce, e sottolineature, che prediligono e facilitano un flusso di lettura e analisi dell’input istintivo per le persone. 

È bene notare come, però, a registrare i risultati più incoraggianti in termini di fissazione, sia per quanto riguarda i loghi bidimensionali che per quelli tridimensionali, sono stati i brand con una lunga tradizione di comunicazione, posizionamento e quindi notorietà, conosciuti universalmente da tutto il target.

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Questi marchi, come sottolineano i ricercatori nel paper dedicato allo studio, sono infatti quelli che hanno elicitato un’attivazione emotiva non conscia nei partecipanti allo studio, oltre ad aver raccolto dichiarazioni razionali positive in questionari e interviste tradizionali seguite alla ricerca neurometrica. Non sorprende, quindi, che tra i loghi flat e quelli tridimensionali, i maggiori tassi di fissazione siano stati registrati dai loghi di Movistar nel settore delle telecomunicazioni (un brand molto noto in Spagna, al pari della nostra Tim), da Volkswagen nel settore automobilistico e da Pepsi in quello dei brand di fama mondiale. 

I loghi flat catturano più a lungo lo sguardo dei nativi digitali

Si nota inoltre come i brand analizzati, in base al soggetto analizzato, hanno restituito risultati molto differenti a seconda della categoria di appartenenza: un dato che si spiega considerando l’affinità di ognuno dei soggetti coinvolti nel test al settore di cui il brand fa parte. 

Più nello specifico, i risultati della ricerca hanno dimostrato che:

  • Per la maggior parte, i loghi piatti ottengono dati di fissazione migliori rispetto alle loro versioni tridimensionali;
  • Ottimi dati di fissazione sono ottenuti però soprattutto da marche che dimostrano un migliore e costante posizionamento sul digitale, come Volkswagen.
  • Mantenere l’identità visiva di base di un brand, nella transizione dalla tridimensionalità alla bidimensionalità del logo, è vincente a patto che il restyling sia evidente e riconoscibile da parte degli utenti. Quando la differenza tra i loghi tridimensionali e flat non è facilmente individuabile, i risultati di fissazione oculare si sono dimostrati irregolari.
  • I loghi che seguono un andamento orizzontale, anche accompagnati da strisce, linee e sottolineature, ottengono solitamente maggiori tassi di fissazione oculari, specialmente quando sono logotipi di testo. 

La conclusione principale è, in sostanza, che i giovani consumatori, appartenenti a categorie sociali e generazioni totalmente digitalizzate, pongono più attenzione ed emozione sui loghi flat, caratterizzati da linee semplici, più integrati e coerenti con il modo di comunicare e i trend dei media digitali.

La semplicità: una lezione di storia che conquista le generazioni native digitali – La parola a Clara Bovetti, Senior Art Director di Ottosunove

L’evoluzione delle visual identity con le sue implicazioni sociologiche ed estetiche è interessante anche dal punto di vista strettamente grafico e del design.
Abbiamo visto come il cambiamento delle generazioni e dei molteplici luoghi in cui la comunicazione viene fruita, abbiano portato a dover ripensare il modo di progettare l’identità visiva di un brand affinché sia facilmente riconosciuto e ricordato, dovendo passare dalla carta stampata all’affollatissimo monitor di un device.

Possono cambiare gli scenari, ma non deve cambiare l’obiettivo di chi disegna un logo: ricerca di essenzialità, equilibrio e memorabilità, ma soprattutto ricerca di un’idea che sia in grado di andare al passo con l’evolversi dei tempi e dei contesti.

Non soltanto nell’era digitale, linearità ed essenzialità sono sicuramente una strada vincente per durare nel tempo; tuttavia, nel momento dello studio e della creazione di un logo, non va mai dimenticata la ricerca di quel dettaglio in più che faccia la differenza e riesca a toccare le corde giuste, della mente e del cuore.

“Just enough is more”

“Al mantra less is more, posso proporre un’alternativa che mi sembra più appropriata: just enough is more” sosteneva Milton Glaser, tra i maggiori grafici dell’età contemporanea noto per il celeberrimo logo “I Love New York”. Ecco, quell’appena di più è proprio ciò che può cambiare le sorti dell’efficacia di un buon logo.

Di questa lezione hanno fatto tesoro i grandi marchi storici del XX secolo, che hanno saputo creare loghi e grafismi così equilibrati e memorabili, da essere entrati nel cuore di generazioni di persone. 

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Basta una rapida carrellata per accorgerci di quanto le visual identity più essenziali nelle forme e nell’idea siano entrate a far parte del nostro panorama mentale. Qualche esempio: pensiamo all’imbattibile perfezione del rosso e blu della London Underground con il suo personalissimo font; al volo della vittoria di Nike; o al biblico eppure futuristico frutto dell’ingegno di Apple; o alla rassicurante eleganza della lana di Woolmark; o l’accurata scritta, dalla cromia inconfondibile, di FedEx con il suo gioco ottico segreto: una freccia bianca che punta alla perfezione e al movimento tra le E e la X. 

In tutti questi casi, e sono davvero solo esempi presi dai grandi classici del design, l’occhio viene accolto da una grande pulizia dei segni, da scelte essenziali, lineari, pure, assolute, capaci di rendere ogni segno incisivo, memorabile e portatore di un messaggio unico. A prova di “eternità”. 

Linearità ed essenzialità: gli ingredienti per un luogo vincente nel tempo

Prediligere e scegliere segni e colori semplici ed essenziali, visual identity semplificate, bidimensionali ma forti, che siano “complici” di una lettura istantanea e rapida, è semplicemente la scelta vincente da sempre: in queste scelte si rifugia l’occhio di chi ama Coca Cola da 80 anni, così come l’occhio di chi, cresciuto su schermi digitali e capace di selezionare e raccogliere informazioni rilevanti ad una velocità da nuovo millennio, rileva ciò che ama e in cui si riconosce. 


I loghi e i marchi più essenziali e puri hanno oggi, grazie alla propria semplicità, essenzialità, sobrietà, sincerità, anche questa enorme carica antropologica.

Fonti:

The Visual-Digital Identity of Corporate Brands:A Study of Neuromarketing in Young People from Spain and Portugal – Luis Mañas-Viniegra, Dora Santos-Silva Nova Sheila Liberal-Ormaechea.