Intervista a Silvia Castrogiovanni – Founder, Kindacom

Può il modo in cui scriviamo un testo cambiare la percezione che si ha leggendolo?

La risposta è affermativa: sarà capitato ad ognuno di noi, trovandosi di fronte ad un’email, un sms o un copy post per i social media, di osservare come punteggiatura, maiuscole e minuscole, grassetti, l’inserimento di emoticon e l’attenzione alla sintassi siano tutti elementi imprescindibili per comprendere e interpretare l’intento e il tono intrinseco ad un messaggio. D’altronde, come ricorda un noto modo di dire, è proprio il tono – la forma, il contesto che arricchisce di sfumature e significato frasi, parole, testi – a fare la musica, a dare un senso a ciò che leggiamo.

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In un periodo in cui gran parte della popolazione mondiale si è dovuta abituare a comunicare e mantenere vive le relazioni attraverso chat, social media o sms, quindi veicolando informazioni, stati d’animo e messaggi prima di tutto in modo scritto, ecco che la capacità di scrivere in modo chiaro, empatico e autentico assume un ruolo di fondamentale importanza, non solo in ambito strettamente lavorativo.

Per questo motivo, abbiamo contattato Silvia Castrogiovanni, Founder insieme ad Alessandra Rancati di Kindacom, azienda di Comunicazione Executive e Alta Formazione specializzata in Scrittura Strategica: una realtà che unisce competenze umanistiche e know how neuroscientifico per produrre contenuti di alta qualità e renderli fruibili in messaggi di comunicazione e in attività formative, attraverso una metodologia esclusiva e originale.

Come spiega Castrogiovanni, “la mission di Kindacom è rivolgersi alle neuroscienze per costruire contenuti più umani e più inclusivi, da utilizzare per la comunicazione degli executive e per l’alta formazione”.

Come opera Kindacom per aiutare concretamente le persone, in ambito lavorativo e non, a comunicare in modo più empatico e con focus sulla creazione di relazione?

Alla base della nostra attività c’è la convinzione che la qualità delle relazioni interpersonali abbia un impatto decisivo sulla qualità della vita e del lavoro. Crediamo che l’empatia e la capacità di sviluppare relazioni di fiducia siano competenze indispensabili nel contesto e nel mercato attuale. Infatti, la scoperta dei neuroni specchio, fatta dal Prof. Giacomo Rizzolatti, ci dice che noi siamo relazione. Per questo motivo, i nostri sforzi sono concentrati ad offrire alla persona-cliente, sia esso un’impresa o un professionista, strumenti utili per una buona comunicazione e gestione delle sfide relazionali della vita personale o lavorativa.

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Consapevoli del valore dell’empatia nel curare la comunicazione executive, puntiamo ad umanizzare lo speech writing attraverso formule che rendano i contenuti coinvolgenti e accoglienti, oltre che efficaci. Il nostro lavoro è inoltre rivolto a progettare eventi divulgativi e formativi finalizzati ad ibridare la cultura aziendale e l’esperienza del cliente con le straordinarie scoperte e applicazioni delle neuroscienze. Affianchiamo, così, l’impresa nel direzionare i comportamenti verso obiettivi più ambiziosi nel contesto di una maggiore cura del benessere della persona e delle sue relazioni.

Poter contare su un comitato scientifico interno al cui capo è il Prof. Giacomo Rizzolatti è un plus unico nel settore per una consulenza a trazione neuroscientifica. Qual è il contributo, il vantaggio di affidarsi alle neuroscienze come strategia e approccio?

Fin dall’inizio, la presenza attiva del Prof. Rizzolatti, Presidente del nostro Comitato Scientifico e scopritore dei neuroni specchio, ha rappresentato, oltre che un cardine, anche una solida base per il nostro lavoro.
Costruire la consulenza aziendale e formativa adottando la prospettiva neuroscientifica significa portare evidenze concrete di quanto la relazione che ci lega agli altri sia fondamentale e basilare, a partire dalla nostra neurobiologia.

Le neuroscienze ci permettono, infatti, di compiere il primo passo verso il cambiamento. È grazie alla conoscenza che raggiungiamo consapevolezza di come funzioniamo, per poterci manifestare al meglio nella nostra vita personale e professionale.


Il nostro obiettivo è quindi portare la scienza fuori dal laboratorio per renderla fruibile e per declinarla in pratiche concrete in tutti contesti organizzativi, basandoci sull’eterogeneità distintiva del nostro Comitato Scientifico composto da tre pilastri: neuroscienze, scienze economiche, etologia. Infatti, l’etologia ci aiuta a leggere i comportamenti, le neuroscienze a spiegarne i meccanismi cerebrali e l’economia a trovare le migliori applicazioni pratiche per i diversi contesti aziendali.
Partire dalla scienza significa quindi per noi garantire affidabilità ed efficacia, rispondendo in modo completo e mirato alle richieste emergenti del nostro tempo.

Come cambia la nostra percezione di un testo in base al modo in cui è scritto/ci viene presentato (es. la mancanza di punteggiatura o il solo uso delle maiuscole)?

Una delle caratteristiche che distingue il linguaggio scritto da quello verbale è la sua flessibilità. Ciò che scriviamo, a differenza di ciò che diciamo, può essere con facilità modificato o perfezionato nella forma o nei contenuti. Questo può essere un grande vantaggio dal momento che ci permette di esprimerci al meglio e ottimizzare la nostra interazione con l’altro, servendoci di contenuti, espressioni o parole che suscitino empatia.

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Dal punto di vista dei contenuti, l’uso narrativo della storia, ad esempio, appare uno strumento strategico per veicolare in modo efficace un messaggio e impattare sul lettore, anche attraverso i social.  Un intero corpo di ricerche ha approfondito l’argomento e ha dimostrato che nel nostro organismo si generano veri e propri cambiamenti neurochimici in risposta alla presentazione in forma visiva o scritta di storie (Zak, 2015).

Questi cambiamenti coinvolgono il rilascio di ossitocina, l’ormone definito “dell’amore” poiché coinvolto nelle interazioni sociali più psicologicamente calde come la relazione madre-bambino, l’allattamento o il legame tra partner. Le storie, in altre parole, non solo catturano la nostra attenzione, ma ci fanno sentire bene, accolti e compresi e diventano quindi una leva importante sulla quale agire per relazionarci in modo empatico con il lettore.


La cornice della punteggiatura e della forma grafica delle parole infine sono un’altra essenziale strategia per dare tono al messaggio e trasmettere messaggi comprensibili e non equivoci.
Attraverso una buona e ponderata punteggiatura il lettore ha la possibilità di sentirsi maggiormente sintonizzato con l’autore del testo. Al contrario una punteggiatura eccessiva o insufficiente rappresentano espressioni piuttosto individualizzate dell’emotività e si prestano meno ad essere condivise con l’altro, generando, di conseguenza, un minor coinvolgimento e minor empatia (Otterbach J. et al., 2016).

L’uso di testi scritti in maiuscolo, invece, elicitando le aree visive primarie anziché le aree premotorie e specificatamente dedicate alla comprensione del testo scritto, sembra interferire con la stessa comprensione del testo (Choi et al., 2017).

È possibile evocare empatia attraverso un testo sui social? Se sì, quali elementi hanno maggior presa e successo e riescono a comunicare maggiore autenticità?

Certamente, è possibile. È sempre più necessaria l’abilità di comunicare empatia attraverso canali di dialogo virtuali come chat, messaggi, copy. E di fronte a questa aumentata richiesta diventa sempre più importante comprendere come sia possibile stabilire anche attraverso la tecnologia una efficace forma di rispecchiamento.
Evocare empatia attraverso un testo significa scegliere con cura i contenuti e la forma del proprio messaggio, consapevoli che la mancanza di tridimensionalità (corpo e voce) tende a ridurre il grado di rispecchiamento interpersonale.

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A tale scopo:

  • puntare su comunicazioni brevi, enfatiche e narrative ha numerosi vantaggi.
  • Molto utile è l’utilizzo delle emoticon, che in maniera istantanea e potente veicolano significati emotivi e creano un legame autentico con l’esperienza dell’altro.
  • È altrettanto noto come alcune espressioni testuali metaforiche che coinvolgono i cinque sensi (ad esempio, “toccare con mano”, “non ti accarezza l’idea…) suscitino l’attivazione della corteccia somatosensoriale e determino quello speciale effetto di “sentire” le parole che leggiamo, contribuendo all’esperienza di rispecchiamento (Lacey S., Stilla R., Sathian K., 2021).
  • Una comunicazione mediata dalla tecnologia è quindi tanto più di successo quanto più è in grado di trasmettere relazionalità, aumentando la percezione di interazione umana (emoticon o espressioni metaforiche).

Causa pandemia, nell’ultimo anno le relazioni fisiche con amici, parenti, colleghi per lunghi periodi si sono tramutate in call, sms, messaggi in chat ed e-mail. Cosa ha comportato questo shift “obbligato”? La tecnologia, e il modo in cui comunichiamo tramite essa, può alterare il nostro modo di porci, relazionarci e reagire agli altri?

Il periodo di emergenza Covid-19 ha radicalmente trasformato la comunicazione sia nell’ambito privato che in quello professionale. Il cambiamento più forte e peraltro maggiormente sofferto è stato sicuramente quello della mancanza della corporeità.

Le neuroscienze ci dicono che siamo fatti per relazionarci dal vivo e che la presenza del corpo nella comunicazione interpersonale è un elemento essenziale per un rispecchiamento forte ed efficace. Il meccanismo specchio funziona in modo imprescindibile dalla rappresentazione corporea e questo ovviamente pone dei limiti e delle difficoltà nel contesto di una comunicazione mediata dalla tecnologia, nella quale l’esperienza tridimensionale e sensoriale del corpo si riduce fortemente.

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Tuttavia la relazione empatica è trasversale e quindi presente anche in relazioni mediate da pc o telefono. Fare leva sul linguaggio e la testualità attraverso parole verbalizzate o scritte, sulla prosodia e sul tono della voce o sulla presentazione visiva di sé attraverso la webcam, rappresenta un ottimo modo per sostenere e costruire un buon contatto alternativo a quello fisico. Una ricerca ha ad esempio dimostrato come l’ascolto di parole produce un’attivazione fonemica specifica dei centri motori del linguaggio dell’ascoltatore, evidenziando quanto il semplice ascolto dell’altro, ad esempio in una call, possa essere un’attività di profonda sintonia e contatto interpersonale (Fadiga et al., 2002).

Ne deriva che prendersi cura e modulare gli aspetti solo apparentemente di cornice alla corporeità possa influenzare in maniera comunque determinante l’esperienza dell’altro nelle relazioni, e possa contribuire a portarle nelle direzioni per noi maggiormente di valore.

Rispetto al passato, sono cambiate le richieste di consulenza, anche in base alla situazione che ancora stiamo vivendo?

Le richieste di consulenza seguono sempre il contesto e questo periodo non ha fatto eccezione. A tutti noi è stato urgentemente richiesto di rivedere le nostre risposte e le nostre abitudini. È quindi mutato il contesto delle relazioni personali, ma non solo.
Anche il mondo del management e quello della comunicazione executive si sono posti nuovi e strategici obiettivi. Da una parte sviluppare in modo sistematico e attraverso strumenti affidabili ed efficaci, una cultura d’impresa basata sull’empatia che, prima di tutto, coinvolga la leadership e, a cascata, le altre risorse umane.
L’obiettivo è costruire e cementare i rapporti di fiducia e di collaborazione, che si riflettono poi sulla produttività.


Dall’altro lato, per quanto concerne la comunicazione executive, la necessità di distinguersi lasciando il segno dal punto di vista dei contenuti e della possibilità, attraverso la comunicazione empatica, di raggiungere, coinvolgere ed infine fidelizzare l’audience. Anche, e soprattutto in questo periodo, attraverso il video.

Si può affermare che dopo un anno contraddistinto da distanziamento sociale e chiusure, l’attenzione degli utenti web si è rivolta ancora più convintamente verso contenuti autentici, umani, quindi empatici?

Certamente. La pandemia e le conseguenze subite a livello interpersonale hanno costretto tutti noi, in un modo o nell’altro, a sacrificare in diversa misura la nostra vocazione umana, ossia la relazione con l’altro.

Ciò che è emerso con grande forza è che non solo abbiamo bisogno dell’altro, ma che ne necessitiamo in modo autentico e umano. Il bisogno netto è stato quello di recuperare un contatto che fosse maggiormente coinvolgente, prossimo e multisensoriale.


La deprivazione delle relazioni corporee e di vicinanza ha quindi fatto emergere un bisogno, ma prima di tutto, una consapevolezza: quella di essere programmati biologicamente per entrare in contatto con l’altro. A questa consapevolezza è saggio far seguire, anche e soprattutto nel mondo virtuale, azioni concrete che vadano verso l’umanizzazione, la multidimensionalità e l’autenticità delle relazioni mediate.