Rieccoci con un nuovo appuntamento dedicato agli strumenti del neuromarketing. Questa volta vogliamo soffermarci sull’IAT, tool di ricerca introdotto e usato inizialmente soprattutto dalla psicologia sociale, poi adottato anche dalle neuroscienze applicate a marketing e comunicazione.

Lo IAT si rivela un valido alleato perché va a indagare le associazioni implicite tra concetti, ossia come il cervello associa non consciamente alcune categorie che, a livello razionale, difficilmente le persone ammetterebbero di far combaciare, per inconsapevolezza ma anche per desiderabilità sociale e influenza del contesto. Queste associazioni sono in gioco anche e soprattutto quando compiamo scelte di acquisto: se sono positive, sono in grado di determinare il successo di un brand e la fidelizzazione dei clienti.

Lo IAT: come funziona

Tra le metodologie di ricerca più semplici da implementare, lo IAT necessita infatti soltanto di un computer per essere allestito. Davanti ai partecipanti, sul monitor del pc, appaiono in sequenza stimoli appartenenti a diverse categorie, che egli dovrà associare utilizzando il click di due tasti ad altre macro-categorie determinate inizialmente, che rimangono sullo schermo per far sì che il partecipante tenga a mente quale tasto è legato a quale associazione. Maggiore è la velocità di risposta, maggiore è il grado di aderenza non conscia tra due categorie.

Questo metodo si basa sul fatto che associazioni tra due elementi fortemente connessi non consapevolmente sono più rapide e portano a meno errori, rispetto all’associazione di due elementi che non sono correlati in memoria. Ciò dipende dai due sistemi cognitivi differenti nel nostro cervello: il System 1, automatico, immediato e impulsivo e il System 2, riflessivo, controllato e consapevole. Lo IAT va ad indagare le nostre associazioni al di sotto della soglia razionale. Per questo i risultati del test vengono valutati in base agli errori e al tempo impiegato per rispondere: più veloce sarà una risposta meno sarà mediata.

scelta default nudge

IAT e neuromarketing

Com’è ovvio, l’apporto dell’IAT è cruciale per il neuromarketing perché va a rilevare eventuali dissociazioni tra i risultati emersi da tecniche di ricerca classiche, come i questionari o i test con termini di preferenza espliciti, a cui rispondiamo tendenzialmente in modo razionale. I campi di applicazioni possono essere molteplici. Le associazioni implicite possono essere osservate in fase di progettazione di una campagna pubblicitaria, analizzando ad esempio il paese di provenienza di un prodotto e la valutazione del prodotto stesso, o per scegliere il testimonial di uno spot valutando l’apprezzamento del potenziale pubblico di riferimento.

Alcune applicazioni pratiche

Dato che oltre due terzi dei nuovi prodotti o brand lanciati sul mercato escono dalla vendita appena dopo due anni per via della competizione spietata che si trovano a fronteggiare, è importante per i brand che un nuovo lancio venga riconosciuto dal proprio pubblico come congruente, desiderabile, affidabile.

Per questo motivo Ferrero, in occasione del lancio di un nuovo tipo di praline sul mercato tedesco, ha deciso di studiare come il contesto di vendita può influenzare la percezione e valutazione di un prodotto, tramite l’utilizzo di risonanza magnetica (fMRI) e Implicit Association Test (IAT). Per farlo è stato studiato come l’associazione del prodotto a due diverse categorie di appartenenza – cioccolatini o snack – e il contesto (collocamento sullo scaffale) potessero influenzare piacevolezza, soddisfazione e reward connessi al prodotto. Dai risultati è emerso che le praline vengono percepite dal pubblico come più accattivanti e soddisfacenti se associate alla categoria cioccolatini, perché legate a un contesto di condivisione con amici, in momenti di festa, andando così a guidare Ferrero nella scelta di categorizzazione del nuovo prodotto per rispondere alle aspettative dei clienti.

In un’azienda inglese, invece, lo IAT è stato utilizzato per indagare la predisposizione dei dipendenti a differenziare i rifiuti, che mediamente viene effettuata da una percentuale più bassa rispetto alla raccolta differenziata svolta in casa. L’utilizzo di questa tecnica si è risultato particolarmente indicato per testare un’abitudine, quella di riciclare, molto influenzata dalla desiderabilità sociale, per questo difficile da indagare con richieste esplicite. Dai risultati finali del test, che metteva a confronto nudge legati ai vantaggi del riciclo rispetto ad ammonimento che denigrano un comportamento meno virtuoso, si è potuto osservare che puntare sui benefici dello smistamento dei rifiuti è maggiormente efficace nel convincere le persone a prendere la decisione migliore.

Ottosunove e lo IAT: il caso BSH

Verificare quali associazioni mentali richiamino brand e prodotti è ancora più essenziale dopo una revisione di un packaging o di un’identità che in qualche modo è andata a modificare “il volto” del marchio.

Ottosunove lo ha osservato durante il re-branding di Bosch Elettrodomestici: il marchio, dopo aver osservato che nei consumatori l’azienda veniva percepita come rigida, seriosa e molto di stampo “tedesco”, ha deciso di rivedere la propria identità per cercare di veicolarne una più calda, vicina alle persone, più di fiducia.

Il focus dell’attenzione si è allora spostata dal prodotto e dalle sue specifiche tecniche al consumatore: Bosch offre le migliori soluzioni per le persone. A partire della corporate identity sono stati introdotti elementi grafici che hanno avvicinato il brand al pubblico, non andando a perdere però la complessità del marchio. Ma se il marchio cambia, deve cambiare anche l’approccio dell’azienda e trasmettere i propri messaggi, in modo emozionale e più attento alle necessità dei consumatori.

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La soluzione

Questo sottintende che anche chi proponeva e vendeva i prodotti Bosch, in seguito alla revisione della comunicazione di marca, doveva in qualche modo avvicinarsi e farsi promotore in prima persone di questa nuova dimensione di vicinanza al consumatore. Ottosunove ha quindi svolto un lavoro con gli agenti e gli addetti vendita dei negozi, il vero contatto della marca col pubblico. Per questo è stato effettuato uno IAT sulla rete di trade marketing assistant di Ottosunove per misurare quali fossero le associazioni implicite legate al marchio e poterli poi adeguare alla nuova identity. Per vendere meglio un prodotto, bisogna credere nei valori che esso incarna.

L’esperimento

Nella prima fase, tramite un classico brainstorming, è stato notato che le associazioni dichiarate erano legate alle caratteristiche di prodotto. Successivamente, tramite dei test psicologici, sono state valutate le dichiarazioni esplicite di aderenza a ciascun valore di brand: innovazione, vicinanza al cliente, solidità, facilità d’uso, sostenibilità ambientale, accessibilità e performance. Tutti i trade assistant della rete di Ottosunove hanno dimostrato un forte accordo con i valori di Bosch. Poi è entrato in gioco lo IAT.

A differenza dei risultati dei test psicologici e delle dichiarazioni espresse dai trade assistant, i risultati hanno mostrato in realtà una condivisione tiepida per i valori di brand, mentre l’adesione alla marca rispetto ai competitor è stata sempre molto più alta. Era nella formazione, quindi, che la nuova identità poteva emergere ed essere metabolizzata più in profondità dai trade assistant.

In seguito ad un ciclo formativo fatto di ricerca individuale e lavoro collettivo con dinamiche di gioco e simulazione, si è cercato di associare ad ogni valore del brand un’emozione o sentimento, ricercando un avvicinamento emotivo che potesse portare a un cambiamento duraturo. Confrontando il brainstorming iniziale con quanto emerso alla fine del primo ciclo di formazione, si è passati da tecnologia, silenziosità, durevolezza, risparmio energetico, a fedeltà, esperienza, radici, storia, identità e consapevolezza.

Dopo un mese e mezzo è stato condotto un secondo IAT, che ha evidenziato notati alcuni miglioramenti, sebbene serva tempo perché il cambiamento sia interiorizzato e reso automatico.

Come spiegato dal CEO di Ottosunove, Luca Florentino “ogni brand è associato nella nostra mente ad una serie di esperienze ed emozioni, connesse tra di loro, che si ripropongono, si confermano e si rafforzano ogni volta che entriamo in relazione con esso”. Risulta quindi fondamentale, continua Florentino “che il bond emotivo tra i valori di marca e il cliente finale vada sviluppato lungo tutto il processo d’acquisto, coinvolgendo anche i mediatori esterni di questo percorso (agenti, trade assistant e personale di vendita)”. Se l’associazione del consumatore è positiva e, quando arriva nel punto vendita, l’esperienza di acquisto che è mediata da un venditore è negativa, le associazioni positive legate al brand si indeboliscono. Inoltre, senza gli studi con IAT sulla parte non conscia sarebbe stato difficile valutare in maniera più completa l’adesione ai valori di marca, l’identificazione di eventuali lacune e avere delle basi solide per impostare una formazione ad hoc. Per essere efficaci bisogna supportare adeguatamente anche gli operatori nella costruzione di dischi di vendita più coinvolgenti, convincenti e vicini al consumatore.

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