Dopo il nostro primo articolo sulla Shopper Brain Conference di Amsterdam, a cui dal 7 al 9 novembre scorso hanno partecipato cinque membri del team di Ottosunove, torniamo a parlare di questa importante conferenza, che ogni anno segnala idee e trend innovativi su temi cruciali per la nostra attività, come neuromarketing e scienze comportamentali.

Oggi ci concentriamo su pricing, consumer experience e terms and conditions, aspetti  della comunicazione, alla cui rilevanza e peso a livello legale va di pari passo una disattenzione dilagante, anche da parte di chi, come  il consumatore medio, dovrebbe beneficiarne in prima persona.

Samir Karzazi

È il direttore di iMotions Enablement Services Samir Karzazi ad aprire il discorso su termini e condizioni di utilizzo che, a causa delle sempre più rigorose regole della privacy, risultano fondamentali per capire ciò che comporti aderire o meno a un servizio. Eppure, come spiega lo stesso Karzazi, molto spesso i consumatori sono portati a ignorarle senza nemmeno leggerne una riga.

Una scelta, questa, dettata dalla complessità, dalla lunghezza e dalla poca funzionalità con cui terms e conditions sono resi disponibili sul web, che per sua natura è sinonimo di velocità e immediatezza. Il relatore allora propone una soluzione tanto semplice quanto efficace: iconizzare per rendere chiari, espliciti ed immediati i termini d’adesione a un servizio, così che l’utente sia portato a prestarvi attenzione e ad assimilarli rapidamente.

A dimostrazione dell’attenzione che il formato icona richiede alle persone, Karzazi espone i risultati di un test di eye tracking eseguito su una pagina di un e-commerce che, oltre al prodotto in vendita, presentava terms and conditions a icona: lo sguardo dei visitatori e possibili acquirenti si è concentrato a lungo su di esse, oltre che sul prezzo e sul prodotto in vendita. Un’idea da prendere in considerazione per ottimizzare un aspetto oggi cruciale, per consumatori e aziende allo stesso modo.

Mathias Wirth e Timothy Desmet

In modi differenti, Mathias Wirth e Timothy Desmet hanno invece affrontato il tema del pricing e della percezione di valore dei consumatori, elemento davvero complicato da registrare con i tradizionali metodi di rilevazione noti al marketing e alla comunicazione. Come disse David Ogilvy, infatti, le persone non pensano come sentono, non dicono ciò che pensano e non fanno ciò che dicono. Proprio per questo le neuroscienze possono intercettare risposte più incisive per comprendere meglio il comportamento e le intenzioni delle persone.

Wirth, Art director di Neuromarketing Labs, per dimostrare quanto sia complicato prevedere cosa pensa il consumatore di oggi, illustra come messi di fronte alla possibilità di ipotizzare un prezzo di un prodotto di una nota marca di ristorazione americana, la tendenza dei partecipanti al test fosse quella di attribuirvi un costo maggiore rispetto a quello di mercato. Il “feel good price”, quello indicato dalle persone, si assestava attorno ai 2,40 €, mentre quello effettivo si fermava a 1,80 €.

A sottolineare quanto sia importante implementare i metodi di rilevazione tradizionali con quelli neuroscientifici per pianificare e migliore le proprie strategie di business, come esempio Wirth porta il caso di un famoso marchio di patatine che prevedeva di aumentare il prezzo dei propri prodotti di 25 centesimi in Turchia. Se, attraverso la compilazione di questionari, i volontari coinvolti avevano ipotizzato un crollo di vendita del 30 per cento, il calo registrato tramite EEG rivedeva le stime al solo 9 per cento. La perdita effettiva, post aumento del prezzo delle patatine, è stata del 6 per cento.

Sempre in tema di neuropricing, Timothy Desmet, Cofounder di Profacts, si è soffermato – sempre parlando di neuropricing – sulla N400, sigla che rappresenta una risposta cerebrale a uno stimolo che, dopo aver provato la sua efficacia nei test neuroscientifici legati al linguaggio, potrebbe presto rivelarsi determinante nei test legati al prezzo. Grazie ad essa, infatti, si può stabilire a livello non conscio che tipo di reazione potrebbero avere i consumatori una volta messi di fronte al valore di vendita di un prodotto.

Rappresentando sicuramente un pain point nel processo d’acquisto, il momento del pagamento deve risultare il meno doloroso possibile. I due speaker suggeriscono, a tal proposito, una serie di pratiche che, seppur non rappresentino la chiave di successo per la vendita di qualsiasi prodotto, possono rivelarsi strumenti su cui fare affidamento.

Laddove non si possa garantire la gratuità di un prodotto – che, com’è ovvio, riscuote sempre un forte successo – si può agevolare il cliente a pagare a rate, oppure presentargli una sottoscrizione a un servizio paragonandone il costo mensile a uno giornaliero: dire che un abbonamento ha lo stesso valore di “un caffè al giorno” ha sicuramente una presa diversa su un possibile acquirente.

E ancora: se la cifra che dobbiamo pagare ci è presentata in dimensioni molto piccole sul tagliandino, il nostro cervello la percepisce come più bassa e quindi più abbordabile.

Lluis Martinez Ribes

L’ultimo intervento su cui ci soffermeremo ha come focus i consumatori e la loro esperienza a contatto con brand e prodotti. Ne parla Lluis Martinez Ribes, Founder di m+f=!, secondo cui per ogni azienda sia è importantissimo individuare e cercare di risolvere lo specifico pain point che fa sì che il consumer journey non risulti totalmente positivo.

pain point

Martinez Ribes porta come esempio l’efficacia di un cambio di punto di vista da parte di un Centro di training visivo spagnolo: il nome dato inizialmente al servizio risultava essere poco accattivante e vissuto negativamente soprattutto dai bimbi che lì avrebbero dovuto passare trascorrere diverse ore dopo la scuola per effettuare le visite di controllo della vista. Si è suggerito di rendere l’esperienza all’interno del Centro un qualcosa di più appetibile, ludico e appagante per i piccoli pazienti: il nome del centro è diventato quindi “Palestra della vista”, riposizionandosi  a livello non conscio come un luogo in cui i bimbi non solo fossero incentivati ad andare per migliorare la propria vista, ma di cui non fossero costretti a vergognarsi con i coetanei.

Ogni brand, specifica Martinez Ribes, dovrebbe proporsi al cliente come la chiave, l’elemento mancante per migliorare la propria vita: il cervello, se stimolato positivamente, rilascia infatti dopamina, capace di migliorare il nostro umore, trasformando così un prodotto o un servizio tra tanti in un elemento a cui non riusciamo più a rinunciare. I sentimenti positivi sono la più potente delle fonti per assicurarsi una consumer loyalty duratura, spiega infatti lo speaker, ma è chiaro che debbano essere mantenuti nel tempo: i benefici che il consumatore trae da un prodotto devono rispettare le sue aspettative a riguardo.