Se dire la cosa giusta al momento giusto è una componente fondamentale per raggiungere un obiettivo, altrettanto cruciale – se non di più, al giorno d’oggi – è il modo in cui scegliamo di esporla, specie in un mondo in cui, in ogni momento, siamo sommersi da una quantità incalcolabile di messaggi. Lo dimostra una interessante case history dedicata alle behavioural economics e, in particolare, al potere del linguaggio nella comunicazione.

Un potere che Unicef, intenzionato ad aumentare mensilmente il tasso di donazioni regolari del 28% in Australia, nel 2016 ha voluto analizzare e comprendere, affidandosi all’agenzia Bohemia Group per far breccia nel cuore degli australiani, popolo sì molto attento alle donazioni, ma per cui è estremamente importante che le cause per cui dona siano legate alla propria Nazione. Non è un caso, infatti, che in questo Paese un colosso del fundraising come Unicef occupi soltanto la ventinovesima posizione per donazioni, stando ai dati di ProBono Australia.

Un dato non certo entusiasmante, specie se si considera che l’80,8% degli adulti australiani dona regolarmente ogni anno, raggiungendo una cifra globale che si aggira attorno ai 12 miliardi e mezzo di dollari devoluti in beneficienza. La popolazione australiana ha dimostrato, negli anni, di essere più disponibile a donare al Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia in occasione di disastri ambientali o umanitari. A Unicef, proprio a fronte di questo trend, serviva un escamotage per comunicare meglio a una audience su cui evidentemente non riuscivano a fare presa campagne dedicate a progetti nel resto del Mondo.

Bohemia Group, partendo dall’estrema sensibilità degli australiani nei confronti delle situazioni d’emergenza o dei disastri, ha compreso che il problema di fondo fosse legato al framing con cui si inquadravano la povertà, la guerra e la fame che attanagliano ogni giorno i bimbi di cui si occupa Unicef. Bisognava sottolineare come il disastro, per chi non si può difendere, sia quotidiano. I numeri a riguardo parlano chiaro: nel mondo muoiono 12 bambini al minuto, 720 in un’ora, 17.240 ogni giorno.

Ma come inquadrare nel modo giusto il problema? Bohemia si è affidata alle scienze comportamentali, utilizzando e testando l’efficacia del behavioural nudge, la cosiddetta “spinta gentile” che porta le persone ad agire in un certo modo. L’agenzia ha allora pianificato il lancio, tramite social media, di una campagna di test con otto copy contenenti altrettanti nudge: l’esperimento consisteva nel confronto tra i “nudging copies” e quelli tradizionali, sottoposti entrambi a un’audience di possibili donatori su Facebook nel corso di un anno.

Gli 8 copy sottoposti rispondevano ai seguenti nudge:

  • Gain frame, o frame di guadagno: “Aiutaci a salvare una vita”
  • Loss frame, o frame di perdita: “Ogni minuto muoiono 12 bambini”
  • Reciprocità: “Se il tuo bambino avesse bisogno di aiuto, chiederesti donazioni?”
  • Norma sociale: “Quattro australiani su dieci donano regolarmente”
  • Disclosure, o scoperta: “Per ogni dollaro donato, 90 centesimi vanno a un bambino bisognoso”
  • Pre-impegno: “Impegnati a donare regolarmente attraverso piccoli step”
  • Intenzione di azione: “Stai pensando di vaccinare tuo figlio?”
  • Influenza euristica: “Su 100 bambini, 10 possono morire per cause prevenibili”

I risultati dell’esperimento sono stati sbalorditivi.

A fronte di un volume pressoché identico di impression tra il gruppo di controllo – esposto ai copy “tradizionali” usati da Unicef – e quello a cui venivano sottoposti i nudging copies, i secondi hanno registrato un clamoroso +128% di donazioni mensili, nonché un +148% di click sulle campagne Unicef su Facebook e un +108% di tasso di click sul link che portava alla pagina del sito per donare. Numeri incredibili, specie se si tiene conto che l’obiettivo auspicato da Unicef per l’aumento di donazioni si era fermato al solo 28%.

nudging copy vs control group

Questa case ci illumina sull’importanza di valutare correttamente il contesto in cui si vuole veicolare il proprio messaggio: le intenzioni possono essere anche nobili, come quelle di Unicef per esempio, ma senza il tono di voce, le parole e i dati giusti, il nostro messaggio potrebbe non performare come ci siamo prefissati. Risulta imprescindibile soprattutto a fronte di una campagna sui social network, ritagliare la propria comunicazione in base alla propria audience di riferimento.

Fonti:

WARC

Credits immagini: WARC/Bohemia Group/Unicef