LA VERITÀ SUL COPYWRITER, UN LAVORO CHE FANNO TUTTI MA CHE POCHI RIESCONO A SVOLGERE.

In occasione della Giornata mondiale del Copywriter, che occorre ogni anno il 30 settembre, tentiamo di fare chiarezza su questa professione attraverso il dialogo tra due professioniste, Daniela Montieri, Copywriter freelance, e Giuseppina Sabbarese, Creative Director Sfera Communication. Spesso infatti quella del copywriter può apparire agli occhi dei più come una figura dai confini indefiniti, detentrice di una competenza di facile acquisizione. Ma “saper scrivere bene” non è sufficiente. Ecco perché è più che mai necessario riconoscerne le abilità e l’importante contributo strategico.

Chi è il copywriter?

-Allora, ricordami perché siamo qui.
– Ci hanno chiesto di scrivere un articolo sul copywriting.
– Quindi abbiamo finalmente l’opportunità di dire che il copywriter non è un romanziere mancato o un giornalista che passa al lato oscuro?
– Magari smettiamo di dire quello che non è e diciamo quello che è. Tu, per esempio, che cosa sei?

– Quando ero all’università, in una piccola città fuori dalle piazze della pubblicità, praticamente nessuno sapeva cosa facesse un copywriter. Tranne la mia professoressa di Semiotica. Eppure ogni copywriter almeno una volta nella vita si è sentito dire che per questo lavoro basta aver fatto le elementari… perché, su dai, tutti sanno scrivere. In sostanza, nessuno sapeva che mestiere fosse ma tutti sapevano come si faceva. Oggi i social sono pieni zeppi di definizioni sul copywriting ma in molti – forse troppi – pensano abbia a che fare solo con parole, scrittura, articoli. In sostanza, tutti sanno che mestiere è il copywriter ma in pochi sanno come si fa. Come sarebbe bello se fosse tutto semplice come dire “faccio l’avvocato”…

– Vero, sarebbe bello soprattutto smettere di spiegarlo a chi crede ancora che la mansione di un copywriter sia scrivere senza refusi.

– Esatto. La verità è che il copywriting è un’arte ibrida e oscura ai più perché deve connettersi con il vissuto delle persone, delle comunità, delle società. Muta a seconda del panel di persone (target o audience) che ha di fronte, prendendone in considerazione gusti, pensieri, modi di vivere. Questa connessione genera l’individuazione di quello che in gergo si chiama “insight” – quello che il target vuole, sa riconoscere, nel quale riesce a rispecchiarsi o a proiettarsi. Senza insight non ci sono parole che tengano: niente potrà creare la relazione tra marca e consumatore. E l’insight va espresso in una bella idea, forte e semplice con le parole giuste: sceglierle è fondamentale per farsi comprendere ma, ancor prima, per farsi notare. Ecco perché non basta saper scrivere (ma serve!).

Detta così, sembra ancora semplice e un po’ spostata verso l’ambito sociologico-antropologico. In realtà, di pari passo allo studio delle persone c’è lo studio della marca e della sua identità. Perché se dobbiamo connettere queste due entità – target e brand – dobbiamo farlo a partire dai valori reciproci. Quindi dobbiamo giocare di strategia e schierare la migliore formazione possibile per raggiungere l’obiettivo. Di che formazione parliamo? Ovviamente di quella delle parole. Solo in questo modo riusciremo a creare delle associazioni di idee nella mente del nostro consumatore, andando a stimolare le sue scelte a livello conscio e inconscio.

– Un altro attrezzo fondamentale nella cassetta degli attrezzi di un buon copywriter è il buon senso.

– Sì, esatto, il buon senso. Quello che gli permetterà di guardare al consumatore come una persona, riconoscendosi in esso e chiedendosi: “se mi trattassero da stupido ripetendomi sempre la stessa cosa, mi convincerebbero?”
– No.
– Appunto. Perché trattare il target con il dovuto rispetto e con intelligenza è il primo passo per una relazione stabile e duratura. Dobbiamo stimolarlo, non convincerlo. Se cambiamo verbo d’approccio, avremo già fatto un grande passo avanti e saremo in grado di toccare le corde emozionali giuste nel momento giusto.

– Ma il buon senso, soprattutto oggi, è quello che permette al copywriter di guardare anche il brand come se fosse una persona, e non un marchio astratto. Noi che siamo state bambine negli anni ’80…

– Ora perché dobbiamo taccare il tasto dolente dell’età?
– … Tanto si capiva lo stesso. Dicevo, siamo cresciute con gli spot pubblicitari in cui il brand parlava ai consumatori dal suo piedistallo. A quei tempi le persone pensavano “se lo dice la tv, allora è così”. Ecco, oggi questo modo di concepire la pubblicità è totalmente superato. Se il brand vuole arrivare al suo pubblico, deve mettersi sullo stesso piano, condividere esperienze e modi di pensare comuni, parlare la stessa lingua ed entrare nelle conversazioni delle persone reali o, detto in maniera più tecnica, intercettare l’insight dei consumatori, ma che anche il brand stesso condivide, altrimenti perde ogni credibilità. E non tocca nessuna corda emozionale, non muove alla scelta. Ed è solo in quel momento, quando è stato trovato l’insight, che il copywriter comincia a scrivere, anzi, comincia a parlare con il target con le parole giuste.

– Esatto, ci sono parole che suscitano emozioni più di altre, parole da usare solo in alcuni casi, parole che sarebbe meglio evitare… ma non sempre! La parola d’ordine per ogni copywriter è “dipende!”. Da che dipende? Da che punto guardi il target, tutto dipende.

Cosa fa un copywriter, quindi? Trova la soluzione più creativa possibile per intercettare il target stimolarlo, colpirlo suscitando in lui le giuste associazioni mentali. Tutto questo per connettere brand e consumatore, una connessione che si tramuterà in scelta. Noi, per semplificare, tutto questo lo chiamiamo “idea”.

Vi siete fatti un’idea? Buona giornata mondiale del copywriter a tutti i copywriter, questi sconosciuti! Nessun copywriter è stato maltrattato per la stesura di questo articolo. Ma possiamo attrezzarci.

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