Come spiegato da Cass Sunstein, fondatore e direttore del Program on Behavioral Economics and Public Policy di Harvard, e Richard Thaler, economista e ricercatore in Economia comportamentale, nel celebre volume dedicato alla Teoria dei Nudge, è inevitabile subire l’ascendente delle opinioni e scelte di chi vive attorno a noi, per il principio dell’influenza sociale.
Questo è uno dei nudge più potenti nel determinare le scelte delle persone, anche e soprattutto quelle d’acquisto, perché sono proprio i comportamenti altrui, specie quelli di chi entra in contatto con noi quotidianamente e con cui stringiamo relazioni rilevanti, ad essere in grado di modificare e motivare i nostri.
Merito, questo, dei neuroni specchio, neuro-trasmettitori che ci spingono ad empatizzare con gli altri e immedesimarci, quasi le vivessimo in prima persona, nelle esperienze e nel vissuto emozionale altrui.
Le preferenze altrui modellano le nostre?
Non deve stupire, allora, come molto spesso si tenda ad apprezzare e ad essere attratti da prodotti, servizi e brand che parenti, amici, conoscenti apprezzano e di cui, parlandone entusiasticamente, diventano veri e propri ambassador.
L’influenza sociale è un risvolto della nostra innata inclinazione ad immedesimarci negli altri.
Non consciamente ciò ci porta ad allineare decisioni e opinioni a quelle di persone di cui ci fidiamo: questo perché sentiamo il bisogno di sentirci parte di qualcosa, di riconoscerci in valori condivisi.
Influenza sociale e peer endorsement: l’impatto sul digitale
Un meccanismo, questo, che è facile osservare in azione sul digitale, in particolare sui social network.
Come racconta Godwin Ofori, Business Growth Strategist, in un articolo pubblicato sul portale New Neuromarketing, la nostra considerazione nei confronti dei contenuti in cui ci imbattiamo, specie quelli sponsorizzati, cambia drasticamente se notiamo che sono stati apprezzati dalla nostra rete di contatti.
Ofori cita l’esperienza personale avuta con un ad di una nota marca di orologi: visualizzato sul feed del proprio Facebook una prima volta, Ofori non diede allo sponsored post niente più che una rapida occhiata, per poi scorrere oltre.
La seconda volta. invece, la sua attenzione fu catturata dai like lasciati all’ad dai suoi amici. Questo riuscì a cambiare la sua considerazione nei confronti del messaggio pubblicitario, portandolo a:
- leggere con attenzione il copy dell’ad;
- guardare il video dell’ad per tutta la sua durata di 25 secondi;
- reagire all’ad con un emoticon;
- cliccare sul post per ottenere maggiori informazioni.
L’advertisement sui social e le “social cues”
Non è un caso che sul digitale si punti molto sul Social Advertising, ossia sul fare pubblicità puntando sull’influenza sociale, creando e condividendo ads ricchi di “social cues”.
Per social cues, in italiano “segnali sociali”, si intendono tutti queisegnali che, attraverso viso, corpo, voce, movimenti, conversazioni, messaggi e interazioni, intervengono e motivano le nostre impressioni e le risposte a stimoli esterni.
I like di amici e contatti ad un post su Facebook sono un perfetto esempio di social cue: a livello non conscio, il fatto che a una persona che conosciamo sia piaciuto o meno un contenuto altera il modo in cui lo consideriamo e il tipo di attenzione che gli riserveremo.
L’influenza sociale sul digitale è un ottimo strumento per aumentare l’engagement nei confronti di una sponsorizzata, così come la considerazione di prodotti e servizi.
Ma ciò è efficace per qualsiasi categoria di prodotto?
Comments by Gabriele Sebastiani