In un contesto contraddistinto da forte incertezza, le persone manifestano oggi il bisogno di riconoscersi e di trovare una sorta di rassicurazione nei valori promossi dai brand. Questi ultimi hanno quindi l’occasione, investendo ad esempio sulla brand equity per fornire risposte puntuali a nuovi bisogni, di stringere una relazione più significativa con i consumatori facendosi portavoce di ideali e valori condivisi.

Uno step ulteriore rispetto a quanto fatto nei mesi di più severo distanziamento sociale, nei quali i brand sono stati chiamati a mostrarsi vicini, empatici nei confronti del momento difficile vissuto dai consumatori.

Ora, “passato il peggio”, i marchi tornano a comunicare prodotti e servizi in un mondo molto diverso rispetto soltanto a inizio 2020, profondamente cambiato dalla pandemia tanto da ripartire con set di norme sociali e abitudini per certi versi inediti. A cambiare, in realtà, sono stati i consumatori stessi che, per adattarsi e rispondere adeguatamente a una realtà improvvisamente fluida, hanno cominciato a mettere in discussione pattern comportamentali e abitudini: un forte cambio di contesto come è stato il lockdown ha reso molto più complicato per le persone navigare la realtà con “il pilota automatico”. Questo ha portato a maggiore consapevolezza e attenzione nei confronti dei propri comportamenti, anche quelli di acquisto, e del loro impatto a livello sociale e ambientale. Se una serie di azioni è diventata ormai normale per salvaguardare la propria salute e quella degli altri — come indossare la mascherina in luoghi chiusi — altri atteggiamenti sono nati da necessità e bisogni emersi durante la pandemia.

Ad esempio, la diffusione di COVID-19 ha fornito diversi indizi sulla correlazione tra scarsa qualità dell’aria e mortalità per coronavirus in alcune aree del mondo. Lo dimostrano due studi: il primo, condotto dall’Università di Harvard, ha raccolto informazioni sulla qualità dell’aria di 3 mila contee statunitensi, insieme ai dati relativi ai casi confermati e ai decessi per COVID-19, con risultati che suggeriscono che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento aumenti la vulnerabilità verso forme più gravi di malattia. L’Università Martin Lutero di Halle-Wittenberg, in Germania, ha invece messo a confronto i tassi di mortalità per coronavirus con il diossido di azoto, generato da processi di combustione. I risultati indicano che su 4.443 persone morte, 3.487 di esse (pari al 78%) erano concentrate in cinque aree situate nel nord Italia e nella Spagna centrale, zone in cui il diossido di azoto è presente in quantità consistenti.

Sono dati che necessitano di ulteriori approfondimenti, ma che mettono in risalto quanto la pandemia, facendo percepire a tutti un pericolo concreto per la propria salute, specie per gli abitanti delle grandi città, abbia reso più rilevante rispetto al passato la necessità di contrastare inquinamento e cambiamenti climatici. La conseguenza è che sono sempre più numerosi i consumatori che si dimostrano coinvolti e interessati alla qualità, alla provenienza e alla produzione dei beni di consumo, così come al ruolo attivo di brand e aziende nei confronti della salvaguardia del pianeta, tutte condizioni ritenute necessarie per proteggere il mondo da future catastrofi. Ed è così che la decisione d’acquisto consapevole e sostenibile diventa un piccolo mezzo per contribuire a una causa globale fortemente sentita.

Come dimostrato dalla ricerca Ipsos “Coronavirus & Behavior change” emerge poi un tema più intimo che riguarda il nuovo rapporto tra consumatori e brand in riferimento alla sostenibilità sociale. I consumatori oggi non vogliono soltanto sentire i brand al proprio fianco nei momenti di difficoltà, ma si aspettano si facciano promotori di progresso e benessere sociale, proponendo iniziative che generino benefici tangibili per loro e per la comunità. In questa direzione si è mosso un brand come Barilla che, intercettando la volontà dei consumatori italiani di acquistare prodotti “nazionali” per sostenere l’economia del Paese, ha scelto di sottolineare, sia nella propria comunicazione che nei rinnovati packaging delle sue referenze di pasta, l’italianità del grano usato per dare vita ai suoi prodotti.

Virare il proprio approccio, core value o modello di business in questa direzione può sembrare rischioso, ma come sottolinea la ricerca di IPSOS, ci sono prove evidenti che i brand, focalizzandosi su nuovi bisogni, possano sopravvivere e anzi crescere in tempi complicati. Nel passato lo hanno dimostrato marchi come Netflix o Amazon, che durante la Grande Recessione del 2008, hanno “allargato i propri orizzonti” investendo in strategie innovative e in una comunicazione, soprattutto con i clienti, il più trasparente possibile, preparando così il terreno alla loro ascesa nel decennio successivo.

Oggi, la pandemia spinge i brand ad avvicinarsi con maggiore attenzione ai consumatori, portando ad accantonare strategie di comunicazione focalizzate esclusivamente su servizi, prodotti e offerte e mettendo invece al centro il rapporto con le persone. È infatti fondamentale, nel mondo post COVID, che i marchi si pongano come punti di riferimento in un contesto fluido e incerto, in cui effettivamente i consumatori sono disposti ad ascoltare e a preferire i brand in grado di tradurre ideali in cui riconoscersi, più che concentrati a presentare prodotti da possedere.

Fonti:

IPSOS UK

Harvard University – Air pollution linked with higher COVID-19 death rates

Halle-Wittenberg Universität – Corona and air pollution: how does nitrogen dioxide impact fatalities?