La nostra memoria come quella di un computer: molto spesso si tende a pensare, un po’ superficialmente, che ricordi ed esperienze vissute quotidianamente siano immagazzinate senza gerarchia dal nostro cervello proprio come in un archivio, in modo oggettivo.
Le neuroscienze ci insegnano però come la nostra memoria sia emozionale, ovvero fortemente influenzata da emozioni e sensazioni provate di fronte a un determinato stimolo e che, di conseguenza, ogni nostro ricordo sia una personale, mediata e per certi versi “distorta” ricostruzione di un’esperienza, che molto spesso non risulta essere totalmente aderente alla realtà oggettiva.
La memoria è emozionale
Questo avviene perché il nostro cervello predilige e conserva in modo più efficace ricordi “emozionalmente” pregni e significativi.
Sebbene il nostro cervello sia un organo estremamente complesso e dalle potenzialità enormi, ha una capacità di memoria limitata: va da sé che non potrà mai ricordare tutto ciò di cui facciamo esperienza. Ecco che le emozioni e le sensazioni che proviamo lo aiutano a dare valore e significato a ciò che viviamo, dandogli l’opportunità di valutare quali siano i ricordi che vale la pena conservare perché rilevanti, utili e significativi.
Amigdala e ippocampo determinano ricordi e memoria
Il fatto che la nostra memoria sia altamente influenzata dalle emozioni si spiega a livello fisiologico: quando il nostro corpo si trova in uno cosiddetto “stato impressionabile“, ossia mentre vive emozioni e sensazioni forti, l’amigdala — parte primitiva e istintiva del nostro cervello che gestisce proprio le emozioni — rilascia ormoni che innescano la cosiddetta reazione “attacco o fuga” oltre a mobilitare automaticamente i centri neurali imputati al movimento e attivando il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino.
Se nella Preistoria gli ormoni rilasciati dall’amigdala — adrenalina, dopamina e noradrenalina — sono stati utili ai nostri antenati per fuggire o meno da un pericolo e apprendere nozioni utili per la propria sopravvivenza, aiutandoci a stabilire quali stimoli fossero utili o dannosi, oggi consentono al nostro cervello di determinare la valenza emozionale delle esperienze che viviamo quotidianamente, informando l’ippocampo – corpo neurale che attivamente “ricorda” le nostre esperienze – quali ricordi conservare a lungo termine e quali no. In sintesi, l’amigdala giudica la valenza emozionale di ogni stimolo, l’ippocampo conserva il ricordo.
Come usiamo la memoria “emozionale” in marketing e pubblicità?
La nostra tendenza a ricordare “emozionalmente” spiega perché in marketing e pubblicità si punti, praticamente da sempre, a suscitare una rilevante reazione emotiva per stimolare una maggiore memorabilità di un marchio, un prodotto o un messaggio.
Un esempio particolarmente efficace è la campagna creata da Procter&Gamble in occasione delle Olimpiadi di Rio 2016.
Tramite lo spot “Thank you, mom”, la multinazionale americana ha voluto evocare emozioni profonde e significanti negli spettatori giocando sul rapporto tra genitori e figli. Obiettivo dello spot altamente emozionale e memorabile, è proprio stato quello di evocare negli spettatori ricordi e sensazioni positive, oltre che una maggiore salienza, nei confronti dei marchi di P&G grazie ad uno storytelling che, andando a toccare corde fortemente emozionali, è risultato empatico e coinvolgente.
Ad ogni brand la propria “memoria emozionale”
È importante ricordare però che puntare sulle emozioni non è una strategia vincente di per sé: è importante che brand e marketer individuino e sfruttino emozioni e sensazioni che si allineino o sottolineino i valori di cui un marchio si fa portavoce, affinché le associazioni implicite positive che tali input stimolano nei consumatori siano coerenti, con il risultato di ottenere un riscontro positivo anche su immagine e reputazione di brand.
Riprendendo l’esempio dello spot di P&G, la multinazionale ha puntato su una narrazione che esalta e dà merito al ruolo di caregiver che un genitore ha nei confronti del figlio. Una scelta non casuale, visto che P&G vanta brand di comune utilizzo quotidiano e casalingo come Tide, detergente per il bucato, Bounce, marchio di tovaglioli di carta, Always, un brand di assorbenti e Pampers, brand di pannolini: tutti marchi che, inseriti in questa narrazione, suggeriscono come P&G sia un brand che a sua volta si propone come caregiver e supporto alle madri, fornendo loro soluzioni quotidiane per una vita migliore. Un messaggio sottolineato ulteriormente dal pay off dello spot: “P&G – Orgoglioso sponsor delle mamme”.
Attenzione al contesto e al momento in cui si evoca un’emozione
Oltre all’aderenza con i valori di brand, è inoltre essenziale valutare in che momento e in che contesto l’emozione viene veicolata e proposta agli spettatori.
Il contesto, in particolare, è cruciale per l’efficacia di una campagna fortemente emozionale: lo sa bene Nationwide, istituzione finanziaria e di assicurazione britannica che per via del suo spot “Make Safe Happen” andato in onda durante il Super Bowl del 2015 è stata oggetto di aspre critiche.
Lo spot inizia con toni tenui e coinvolgenti, con un bambino che attraversa la sua infanzia vivendo esperienze e momenti emozionanti, fino a che però perisce a causa di un incidente evitabile. Una narrazione molto forte, dunque, per sensibilizzare su un tema delicato come le morti infantili, ma che mandato in occasione di un evento storicamente gioioso e spensierato per il pubblico americano come il Super Bowl , è risultato inadatto al clima e all’attitudine festosa del pubblico.
Lo spot di Nationwide, seppur motivato da un nobile intento, si inserì quindi tra altri adv di persone che festeggiano, si divertano o giocano con i propri animali da compagnia: ecco che il contenuto emozionale di “Make Safe Happen” si trasforma, in questo contesto, in un vero e proprio pugno allo stomaco per gli spettatori, portati a reputarlo non pertinente e triste in una cornice invece estremamente connotata positivamente. Non è un caso che subito dopo la messa in onda molti americani, infastiditi dallo spot, si riversarono su Twitter per criticarlo o fare ironia sul buco nell’acqua di Nationwide.
La memoria emozionale è sempre affidabile?
Come detto, quindi, i nostri ricordi e la nostra memoria sono fortemente influenzati dalle emozioni che proviamo. Ciò determina che il ricordo di uno stimolo ed evento sia “deformato” in modo molto soggettivo. Nel modo in cui lo ricordiamo entrano infatti in gioco diversi fattori: suoni, sentimenti, umore, preconcetti e associazioni implicite sono tutti elementi che possono alterare la “nostra versione dei fatti” e il modo in cui il cervello, quando ricorda, ricostruisce una determinata esperienza.
Il cervello, inoltre, ricorda seguendo una gerarchia che va dal macro al micro: ciò significa che nel rimembrare qualcosa, parte dalla cosiddetta “big picture” — la situazione generale — per andare a concentrarsi man mano su dettagli sempre meno rilevanti. Per colmare eventuali lacune o omissioni, il cervello è abituato a lavorare di approssimazione per fornire un contorno di senso alla situazione che sta ricordando, ricorrendo a scorciatoie mentali — le cosiddette euristiche, di cui abbiamo parlato nel dettaglio qui — che gli consentono di completare “il quadro” del ricordo, non sempre in modo aderente e fedele alla realtà dei fatti.
Metodi di ricerca “razionali” e ricordi emozionali
Questo comporta che molto spesso i nostri ricordi non siano totalmente affidabili e oggettivi, poiché il nostro sentire emozionale e sensoriale ci porta a deformarli senza che noi stessi ne siamo realmente consci. Un assunto che spiegherebbe il perché non sempre i dati che emergono da indagini di mercato svolte seguendo metodi di ricerca tradizionali, come focus group o questionari, non siano sempre affidabili, poiché puntano a raccogliere opinioni e risposte “razionali” da parte dei consumatori in merito a spot, prodotti e brand, quando in realtà le persone interagiscono con essi in modo totalmente emozionale e sensoriale.
È difficile che questo vissuto emozionale non conscio, quindi al di sotto della razionalità, riesca ad emergere efficacemente compilando un questionario: il rischio è quello di ricevere dati molto approssimativi e mediati da ricordi non totalmente credibili e aderenti alla realtà, che il cervello dei consumatori ha ricostruito in modo emozionale.
Il neuromarketing per valutare l’efficacia di stimoli di marketing e pubblicità
Neuromarketing e scienze comportamentali, in questa direzione, si integrano ai metodi di ricerca tradizionali andando proprio a osservare e rilevare le reazioni non consce ed emozionali che i consumatori hanno quando prendono decisioni d’acquisto o si trovano di fronte ad uno spot, un prodotto o ai valori di un brand.
Grazie a strumenti che consentono di monitorare l’attività del cervello (come la risonanza magnetica funzionale) o le reazioni fisiologiche del nostro corpo di fronte a uno stimolo (Heart Rate, eye-tracking e conduttanza cutanea), è possibile misurare il livello di attenzione del consumatore, le emozioni che sta vivendo e le sue effettive reazioni cognitive. Se sei curioso di saperne di più, puoi approfondire l’argomento qui.
Quindi, come usare la memoria emozionale in comunicazione in modo efficace?
Ecco cosa abbiamo imparato in questo articolo:
- La nostra è una memoria emozionale: il nostro cervello predilige e conserva in modo più efficace ricordi “emozionalmente” pregni e significativi;
- La nostra tendenza a ricordare “emozionalmente” ha portato marketing e pubblicità a lavorare per proporre comunicazioni in grado di evocare emozioni e stimoli sensoriali rilevanti per favorire una maggiore memorabilità di un marchio, un prodotto o un determinato messaggio;
- È importante per i brand individuare attentamente quali sono le emozioni e sensazioni che si allineano o sottolineano in modo positivo i valori di cui un marchio e i suoi prodotti si fanno portavoce;
- Oltre all’aderenza con i valori di brand, è inoltre essenziale valutare in che momento e in che contesto l’emozione viene veicolata e proposta agli spettatori;
- Molto spesso i nostri ricordi non siano totalmente affidabili e oggettivi, poiché il nostro sentire emozionale e sensoriale ci porta a deformarli senza che noi stessi ne siamo realmente consci.
Fonti:
Contently – The dangerous power of emotional advertising;
The Science of Persuasion – A brand to remember: why emotional memories are stronger;
Comments by Gabriele Sebastiani