In una società sempre più consapevole e attenta ai diritti di tutte le categorie sociali, emerge il bisogno di accogliere, rispettare e veder celebrate tutte le sfumature identitarie di cui è costituita la nostra realtà: con questo obiettivo nasce l’inclusive marketing.

inclusive marketing
Credits: Anna Shvets via Pexels

Dal colore della pelle al peso, dall’orientamento sessuale all’identità di genere o di religione, oggi siamo tutti alla ricerca di una maggiore inclusività, e della promozione di valori e azioni in cui riconoscersi e sentirsi rappresentati.

Una forte necessità di rappresentazione che influisce anche su ciò che i consumatori si aspettano dai brand.

Inclusive marketing: un bisogno di rappresentazione che non conosce confini

Quello che chiede a gran voce più inclusività è un movimento su scala globale, che chiede cambiamenti concreti in tutti gli ambiti della società: se a livello istituzionale, soprattutto all’estero, sempre più donne ed esponenti di minoranze occupano posizioni di rilievo, media, piattaforme di streaming e major cinematografiche scelgono di raccontare storie sempre più rappresentative in termini di inclusione.

Il mondo fashion, nel frattempo, accoglie e celebra ogni tipo di fisicità e bellezza “non convenzionale”.

La campagna pubblicitaria del brand d’abbigliamento Universal Standard

Valutare i valori di un brand come motivazione d’acquisto

Ciò avviene perché “per le persone è oggi prioritario spendere i propri soldi a supporto di brand che promuovono valori in cui credono davvero”, sostiene Sonia Thompson, Customer Experience Strategist di Thompson Media Group, su Forbes.

I brand oggi sono infatti chiamati a ripensare messaggi, immagini e valori proposti ai consumatori, rispondendo adeguatamente alle necessità di rappresentanza di tutti i propri clienti, soprattutto di coloro che, appartenendo a minoranze, non si riconoscono in una comunicazione canonica, “standard”.

Inclusività, diversità e attenzione nei confronti di istanze sociali si trasformano da “nice to do” in “must do” per tutti i brand.

Su queste basi emerge l’inclusive marketing

L’inclusive marketing ha come obiettivo la creazione di strategie di comunicazione e contenuti che si rivolgano alle diverse identità della sfaccettata società in cui viviamo.

Ciò significa mettersi in connessione e consentire a categorie solitamente sotto-rappresentate, di riconoscersi in role model e messaggi e rilevanti.

Un approccio strategico che include nuovi target e che permette a molte più persone di entrare in connessione con i brand che, finalmente, danno loro spazio e voce, favorendo nel contempo un cambiamento sociale positivo in termini di visibilità, accettazione e rappresentazione su larga scala.

Approcci basati sui fatti, non solo sulle parole

Una trasformazione in favore di strategie di inclusive marketing deve comunque sempre allinearsi a un impegno reale ed autentico da parte delle aziende: fornire supporto a livello meramente simbolico non può soddisfare i consumatori, sempre più attenti e partecipativi.

Un’indagine pubblicata nel 2020 da Salesforce, impresa di cloud computing di San Francisco, mette in luce come il 90% dei consumatori crede che le aziende abbiano la responsabilità di andare oltre al profitto, impegnandosi a migliorare il mondo in cui viviamo.

L’inclusive marketing è un trend destinato a durare?

Diverse ricerche confermano che sarà così. Uno studio di CMO by Adobe, svolto nel 2019 negli Stati Uniti — nazione in cui il tema dell’inclusività è particolarmente sentito — ha mostrato ad esempio come il 61% degli americani pensi che sia essenziale, oggi, celebrare la diversità nell’advertisement.

Numeri che secondo Sonia Thompson sono destinati a un incremento, anche considerato il cambiamento demografico in atto nella società statunitense in cui la generazione più giovane di consumatori, la GenZ, costituisce il 25% della popolazione della nazione e si dichiara per il 48% come “diversa”.

Non a caso è questa la categoria sociale più attenta a temi di diversity & inclusion. In un diverso studio di Microsoft, il 70% di consumatori della GenZ afferma di porre maggiore fiducia in brand capaci di rappresentare la diversità nei propri annunci, con il 49% degli intervistati che ha persino smesso di acquistare prodotti e servizi da aziende i cui valori non rispettavano i propri.

Un esempio dall’Italia

Ma anche in Italia il fenomeno si fa sentire: lo dimostrano spot e campagne che prendono una posizione molto chiara su istanze sociali rilevanti.

Come ad esempio Ikea che, con la campagna #Fateloacasavostra, lanciata nel 2019, si è schierata al fianco di chi, spesso ancora adolescente, viene obbligato a lasciare la propria abitazione per via dell’orientamento sessuale con uno spot, in cui l’accezione negativa dell’espressione viene ribaltata dalla narrazione proposta, sostituendola con un inno alla libertà e alla lotta alla discriminazione.

Parallelamente al lancio della campagna, Ikea ha inoltre agito concretamente collaborando con Quore, associazione che si occupa di co-housing sociale per membri della comunità LGBTQ+, e donando forniture di arredi per gli alloggi dei ragazzi costretti ad abbandonare la propria abitazione di famiglia.

Inclusive marketing: vietato peccare di superficialità

Un approccio più inclusivo nella comunicazione va affrontato con estrema attenzione: farsi promotori di messaggi e istanze molto sentite vieta ai brand di esporsi con superficialità. Nel dar vita a una strategia di marketing inclusiva, come sottolineato da Alexandra Siegel, Director, Equality Content and Enablement di Salesforce, in un articolo su The 360Blog, è necessario infatti valutare la differenza tra intenzioni e impatto.

Sebbene molte delle intenzioni che spingono le aziende ad agire siano positive, le azioni stesse dovranno essere impeccabili per non essere mal giudicate.

Ha fatto storia (in negativo) il caso Victoria’s Secret

Nel 2019 il brand americano Victoria’s Secret è stato al centro di un dibattito acceso per le dichiarazioni dell’ex Chief marketing Officer Ed Razek.

In un’intervista a Vogue, Razek si dichiarò contrario a selezionare modelle curvy o transessuali per il celebre show annuale del brand di lingerie, per non correre il rischio di interferire con “la fantasia” dello spettacolo, promotore di una bellezza “standardizzata” a cui molte donne avrebbero dovuto aspirare.

Per riparare ai danni conseguenti alla dichiarazione, l’anno successivo il brand ha scelto Valentina Sampaio, modella trans, come testimonial di una delle sue linee: una scelta la cui autenticità è stata però messa in discussione dal pubblico.

Come abbracciare l’inclusive marketing? Ecco 6 importanti pilastri

Per concludere, ecco i sei pilastri che Alexandra Siegel elenca nel suo articolo su The360Blog, e di cui tenere conto per rendere le strategie di comunicazione più inclusive e rappresentative:

  • Il tono di voce

È bene considerare attentamente quali argomenti trattare, con quale soggetto farlo e attraverso quale messaggio: il tono di voce è il primo mezzo per catturare l’attenzione e l’interesse delle persone, perciò deve essere rispettoso e coinvolgente, consapevole del tema trattato.

  • Intenzionalità delle parole

Un uso efficace del linguaggio, come ricorda Siegel nel suo articolo, può rendere più rilevante e personale un messaggio. Le parole vanno infatti scelte accuratamente, affinché ogni termine, simbolo o frase non offenda o crei equivoci in chi legge.

  • Rappresentazione

Le persone vogliono vedere sé stesse rappresentate: ciò le fa sentire ascoltate, viste, motivate. Chiedersi, prima di lanciare una campagna ad esempio, se si è dato spazio a voci e storie diverse è un buon modo per dare opportunità a tutti e correre ai ripari quando ciò non è avvenuto.

  • Contesto

Pensare sempre al contesto in cui viene fruito un contenuto e di quale significato viene vestito: parliamo di influenze culturali, storiche, sociali che possono rendere un messaggio potenzialmente negativo o dannoso.

  • No all’appropriazione

Utilizzare elementi, riferimenti culturali di una minoranza senza onorarli e comprenderli è uno degli errori in cui è più facile incorrere: è necessario rivolgersi a persone che facciano parte della cultura a cui vogliamo fare riferimento per essere sicuri di essere rispettosi, dando voce e celebrando storie autentiche e corrispondenti alla realtà.

  • Lavorare per contro-stereotipi

Non c’è migliore rappresentazione di un contro-stereotipo per dare visibilità a situazioni che spesso vengono cancellate da una visione troppo superficiale della nostra società. Qualche esempio? Mostrare più CEO donne è un buon modo per dare rappresentanza a realtà che già esistono, ma non sempre sono prese in considerazione.

Fonti:

What is inclusive marketing? – Alexandra Siegel, The 360 Blog

4 Inclusive Marketing Trends For 2021 That Will Impact Your Brand, Sonia Thompson – Forbes