Il cervello è un organo in costante evoluzione.

Se, al termine della lettura, ricorderete qualcosa di questo articolo, vorrà dire che il vostro cervello, anche solo leggermente, è cambiato: nuove connessioni neuronali saranno nate; la struttura di alcune sinapsi si sarà modificata e voi avrete appreso qualcosa di nuovo.

La plasticità del cervello ci permette di adattarci agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno e di immagazzinare le informazioni, imparare nuove abitudini, sedimentare comportamenti.

Learning by doing: la chiave della nostra evoluzione

L’evoluzione dell’uomo è, in effetti, una storia di apprendimento: in un mondo pieno di sfide alla nostra sopravvivenza, abbiamo adottato una strategia di “learning by doing”, elaborando risposte efficaci che, attraverso la ripetizione, si sono trasformate in reazioni automatiche ed istintive. Oggi, Il nostro cervello è la somma degli automatismi percettivi dei nostri antenati, combinati ai nostri e a quelli della cultura in cui siamo immersi.

Siamo in grado di raccogliere dal mondo esterno 109 bit per secondo di informazioni attraverso i nostri sensi; gran parte di questi stimoli non vengono processati razionalmente, bensì percepiti dalla nostra mente in modo non conscio. Non per questo non esistono o sono inutilmente scartati; anzi, queste percezioni sensoriali influenzano in modo determinante i nostri comportamenti e il nostro modo di stare al mondo.

Ricercare la sensorialità per reagire alle limitazioni dell’emergenza

Non è un caso che, in un momento come quello attuale in cui abbiamo dovuto sospendere le nostre routine e ci siamo ritrovati limitati nella nostra casa, la ricerca della sensorialità sia diventata, per i più inconsciamente, una risposta all’insicurezza generata dall’emergenza.

Sentire di nuovo il profumo di una torta nel forno, impastare il pane, suonare, cantare, dedicarsi alla manualità sono tornati ad essere momenti importanti delle nostre giornate. L’esplorazione di una realtà più incerta è passata anche dai nostri sensi ed è plausibile pensare che, quando finalmente riusciremo ad essere immunizzati al virus da un vaccino, la necessità di toccare, annusare, assaggiare il mondo là fuori ritornerà con vitale prepotenza. Il nostro cervello non si è evoluto per contemplare la realtà ma per farci sopravvivere all’interno di essa, attraverso l’esperienza.

Tutto questo ha evidenti implicazioni sulla customer experience.

L’e-commerce è stato, durante il lockdown, uno strumento sicuro ed efficiente in un mondo fatto di divieti, code, scarsità di beni nei pochi punti vendita aperti. Le persone hanno imparato che si possono acquistare prodotti senza necessariamente vederli di persona, toccarli, annusarli, provarli. È un trend destinato a rafforzarsi, perché la customer experience digitale ci permette di accedere a un’offerta ampia, è conveniente, non ha orari di apertura e di chiusura, rende semplice una comparabilità immediata tra prodotti e prezzi.

Tuttavia, quello digitale è un ambiente a sensorialità limitata — dominato per lo più da un solo senso, la vista — in cui le nostre decisioni d’acquisto non possono essere supportate da tutto quel corredo percettivo che invece ci sostiene nel mondo fisico.

L’ evoluzione dello store: accelera la ricerca dell’esperienza

Da tempo il retail sta spostando il focus dalla semplice vendita di un prodotto alla proposta di esperienze, con tutte le difficoltà di riconvertire format e modelli distributivi nati in momenti storici ed economici passati e che generano una forte resistenza a questo cambiamento.

Oggi non siamo ancora in grado di elaborare strategie sicure per il futuro, poiché la crisi per il mondo dei servizi — più che per l’industria — è destinata a protrarsi fino a quando non si riuscirà a sconfiggere definitivamente il virus: le limitazioni sono infatti un ostacolo oggettivo all’ingresso negli store e all’esplorazione dei prodotti. Nel breve e medio periodo i retailer dovranno tener conto di forze opposte da conciliare: quella della ricerca del rassicurante ritorno allo status quo, quella della cautela nei rapporti interpersonali causata dalla paura ormai interiorizzata e quella di nuove abitudini che, con il passare del tempo, stanno sedimentandosi e diventando euristiche.

Tuttavia, questa crisi può rappresentare un’ulteriore spinta ai cambiamenti già in atto, per arrivare a costruire customer experience che tengano davvero conto del modo in cui le persone percepiscono la realtà e prendono decisioni all’interno di essa.

In fondo, come diceva Morpheus in Matrix, “Come definire la realtà? Ciò che tu senti, vedi, degusti o respiri non sono che impulsi elettrici interpretati dal tuo cervello”.