Non più soltanto qualcosa da buttar giù per riempire lo stomaco: tra game show su ristoranti ambiziosi e chef in erba, social network devoti a impiattamenti curati al dettaglio e la riscoperta del bio, dei prodotti a km zero, del contadino che vende le verdure del suo orto, di sapori antichi e sempre meno mainstream, il cibo si è da tempo trasformato in qualcosa di più complesso di ciò che mettiamo nel carrello della spesa.
Quando si parla di “food” – o meglio, di Food and Beverage – oggi si fa riferimento alla cultura che sta dietro al piacere estetico e percettivo che un determinato piatto porta con sé: ma, ovviamente, ci si riferisce anche ai trend, ai ricavi e al tipo di comunicazione che un settore, su cui c’è sempre più attenzione e competizione, genera. Un discorso che riguarda soprattutto il cambio di paradigma di informazione generato dai social media e dal rapporto che le nuove generazioni – non più i consumatori di domani, ma di oggi – hanno con il cibo. Oltre ad avere implicazioni sociali e culturali, questo nuovo punto di vista non può che influenzare anche le strategie di marketing e di comunicazione.
User generated content come cassa di risonanza
Si prenda per esempio l’esplosione, conseguente alla crescita esponenziale di social votati a contenuti visivi come Instagram o Pinterest, della condivisione di foto di piatti, dai più semplici ai più elaborati, con l’hashtag #foodporn.
Perché dovrebbe interessarmi sapere cosa mangiano il mio amico o Chiara Ferragni?, potreste dire voi. Eppure a quanti, magari durante una cena in un ristorante stellato, viene ormai naturale estrarre lo smartphone dalla propria tasca e fare una foto a ciò che si ha nel piatto? Anche se per una condivisione privata, tra amici o in famiglia, quella foto segue lo stesso meccanismo che impazza sui social.
La chiave è proprio nella parola “condivisione” che sì, ormai è il mantra dell’era iperconnessa, ma trova radici più profonde, almeno per quanto riguarda il cibo. Preparare un piatto visivamente bello e buono all’assaggio non basta più: ai complimenti dei commensali ospiti, si va alla ricerca del rispetto e, perché no, della innocente invidia dei nostri follower perché ciò che stiamo mangiando è in realtà una vera e propria esperienza, di cui “concediamo” un assaggio virtuale. Un po’ come, un tempo, si raccontava del pranzo della domenica dalla nonna, facendo venire l’acquolina in bocca a chi non era presente alla tavola imbandita a festa: d’altronde, almeno in Italia, quale migliore rituale di condivisione può esserci se non lo stare a tavola insieme?
Ecco spiegato perché il 63% di chi ha tra i tredici e i trentadue anni ha dichiarato di aver postato la foto di cibo almeno una volta nella vita, secondo una ricerca di YPulse: un dato da non sottovalutare, specie se si considera che solo il 47% della stessa categoria di riferimento condivide con i propri follower immagini di ciò che ha appena acquistato. Fotografare il cibo, secondo uno studio, aumenterebbe anche in maniera esponenziale la qualità dell’esperienza culinaria che stiamo vivendo.
Questo fenomeno offre spunti di riflessione interessanti su come il settore F&B potrebbe utilizzare il desiderio di far sfoggio di ciò che si mangia. Per esempio, il forte potere comunicativo e attrattivo delle immagini dimostra quanto la creazione di contenuti esteticamente belli e invitanti possa garantire una visibilità e una brand equity molto maggiore nei confronti dei propri clienti/utenti, dando percezione di alta qualità. Il fattore “visual” è ormai uno dei must del food marketing.
Lo dimostra il successo clamoroso che il frappuccino “unicorno” di Starbucks ha registrato dal suo lancio, nella primavera 2017: un prodotto più da guardare o fotografare che da bere. I suoi colori irresistibili hanno vinto sul gusto della bevanda, definita da molti zuccherata all’inverosimile (si dice che un bicchiere contenesse circa il corrispettivo di quindici cucchiaini di zucchero). Starbucks ha comunque approfittato per mesi di un flusso continuo di promozione, creata autonomamente dai suoi stessi clienti, coinvolgendo attivamente i giovanissimi avventori, incitandoli a inviare feedback all’azienda durante tutto il periodo di promozione del frappuccino. Un dettaglio importante, specie se si considera che i giovani sono spesso disponibili a farsi molto trascinare dalle social community riguardo alle scelte in ambito food.
Gen Z e Millennial: tutta una questione di… coinvolgimento
Proprio il coinvolgimento attivo del consumatore è un altro elemento da tenere a mente quando si crea una strategia di food marketing. Generazione Z e Millennial, secondo i sondaggi, nonostante la giovane età, sono customer decisamente attenti a ciò che comprano e a come lo fanno, ma si lamentano di essere poco ascoltati e di non essere presi troppo sul serio dai grandi brand. Osservare i loro comportamenti d’acquisto, però, può suggerire interessanti trend.
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio PwC, quando si tratta di scegliere su quale brand riporre fiducia, per i giovani la qualità diventa una componente decisiva nella valutazione d’acquisto (76% per i Millennial, 78% per la Generazione Z), così come la sostenibilità del marchio (73% e 76% rispettivamente). Per poter disporre di un prodotto che risponde alle proprie esigenze, il target di riferimento si è dimostrato disponibile a pagare anche il 20% in più rispetto a un prezzo considerato normale o escludere dalle proprie scelte prodotti mainstream.
Un trend che i grandi brand di F&B hanno seguito con attenzione, facendolo presto loro. Proprio perché i giovanissimi si dimostrano consumatori attenti, non deve stupire il fatto che il 56% della Generazione Z e il 49% dei Millennial legga minuziosamente le etichette di un prodotto e che, abbastanza spesso, proprio da esse si faccia convincere.
È chiaro che, come le neuroscienze ci insegnano, non sono solo le informazioni dettagliate a smuovere il consumatore: colori, forme e messaggi sono altrettanto cruciali per favorire o meno un eventuale acquisto. Il neuromarketing, infatti, è uno strumento che può dire la sua anche in questo ambito: studiando e comprendendo la percezione e le aspettative delle persone, è possibile intessere un rapporto profondo, che si fonda su associazioni implicite ed emozioni, fattori che spesso, specie per quanto riguarda il cibo, rappresentano una leva importante.
Ad esempio, se l’aroma di un dolce ci ricorderà qualcosa che consumavamo durante la nostra infanzia, è molto probabile che ne riceveremo immediatamente un’impressione positiva, quasi un desiderio nostalgico di averlo per poter tornare, almeno tramite i sensi, indietro nel tempo. Resistere a un prodotto che ci parla così nel profondo non è così semplice.
Fonti:
https://www.insidemarketing.it/food-porn-condivisione-foto-cibo/
http://blog.codencode.it/food-marketing-non-e-il-cibo-che-fa-la-differenza/
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