A partire dal naming fino ai prodotti e servizi offerti, tutto di una marca veicola continuamente messaggi alle persone. La costruzione della brand identity è un processo strategico e creativo che richiede grandi capacità di analisi, congruenza e coerenza: dalle caratteristiche del mercato di riferimento ed i suoi trend, al posizionamento dei player, è importante tenere anche conto e assecondare attese e bisogni del target restando fedeli agli attributi specifici di brand e i benefit offerti. Tutto questo ovviamente deve accompagnarsi a una comunicazione distintiva, coinvolgente, memorabile in tutti i touch point con il proprio pubblico che, come sappiamo, quando sceglie lo fa prima di tutto in modo istintivo, automatico ed emozionale e solo in un secondo momento in modo razionale. È ormai provata l’efficacia di neuromarketing e behavioural sciences nell’aiutare i brand a osservare e comprendere i meccanismi di scelta non consci in atto durante il decision making.  

Insight importanti perché, al di là delle campagne di comunicazione su cui i marchi investono per posizionarsi sul mercato e rafforzare i propri valori e caratteristiche, c’è tutta una serie di stimoli e associazioni istintive che una marca trasmette involontariamente al proprio pubblico, molte delle quali non-consce ma in grado di giocare un forte ruolo sulla inclinazione positiva o negativa verso un brand.

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Tra questi, molto potenti sono i bias, una forma di distorsione della valutazione causata da pregiudizi e preconcetti anch’essi non-consci, o dall’interferenza di fatti di cronaca dalla forte carica emotiva. Le emozioni infatti influenzano in modo non indifferente le nostre scelte e i nostri comportamenti, tanto più se sono intense e collegate al nostro percorso evolutivo.

Un esempio pratico è la nostra tendenza ad essere molto più attratti dalle forme tondeggianti e dalle superfici curve rispetto a quelle più squadrate o spigolose: questo perché a livello non conscio associamo le seconde al pericolo rappresentato dalle armi. Nel corso della nostra storia evolutiva, infatti, abbiamo imparato a tenerci lontano da ciò che può arrecarci un danno – forme appuntite ad esempio – contribuendo così nei millenni a determinare una preferenza diventata innata. Un discorso simile è legato ai colori, ognuno dei quali viene associato istintivamente a emozioni o contesti precisi: il rosso è universalmente il colore di passioni intense, come la rabbia o l’amore, mentre il blu o il viola rimandano più facilmente a dimensioni più intime e riflessive, legate alla psiche.

Meritano un focus specifico poi le associazioni implicite, un network di concetti e giudizi che il nostro cervello abbina e di cui non siamo consapevoli, ma che determinano in maniera decisiva i nostri comportamenti.

Queste associazioni entrano in gioco anche e soprattutto quando compiamo scelte di acquisto: se positive, possono contribuire al successo di un brand e rafforzare la fidelizzazione dei suoi clienti, se invece sono negative, possono causare danno a un’azienda, anche senza che quest’ultima abbia necessariamente messo in atto alcun tipo di azione specifica.

Ciò accade perché tutti quanti noi, nel momento della scelta, ci affidiamo a scorciatoie mentali, dette euristiche, che agevolano i processi decisionali facendo risparmiare energie e tempo, risorse preziose per il nostro cervello. Queste si attivano velocemente ed automaticamente anche in risposta a stimoli esterni non governati dalle aziende stesse.


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Emblematico è il caso di Mars, che a metà del 1997 fu testimone di un inaspettato incremento delle vendite delle proprie famosissime barrette al cioccolato senza che fossero in atto rilevanti azioni di marketing.

La spiegazione del fenomeno fu imputata al fatto che in quello stesso periodo partì la missione Pathfinder della NASA, che per la prima volta avrebbe raggiunto Marte. Tutti i media dettero grandissimo risalto all’avvenimento e nei notiziari e sui quotidiani dei paesi di lingua inglese, la parola “Mars” venne quindi ripetuta molte volte. Anche se il brand americano si chiama Mars per il cognome del suo fondatore Franklin, ogni qual volta in tv o alla radio si parlava della missione su Mars nel cervello delle persone si richiamava per associazione la barretta chiamata come il Pianeta Rosso e la memorizzazione così rafforzata del Brand ebbe un diretto effetto facendo registrare picchi di vendita grazie a un trigger inconsapevole (https://www.theguardian.com/media/2014/sep/15/the-dna-of-viral-content).

Lo stesso meccanismo non-conscio potrebbe essere in atto in questi giorni, contribuendo al calo di vendite registrato da un noto marchio di birra in corrispondenza dell’emergenza sanitaria per Coronavirus: al di là di cause legate all’andamento del mercato ed altri fattori in ambito marketing, l’assonanza tra il nome del virus e quello del brand può avere creato un’associazione mentale negativa che si attiva in maniera non conscia al momento della scelta.


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Indipendentemente dagli assist fortunati o meno che un contesto di attualità sociale può fornire ai brand, questi ultimi devono in ogni caso essere consapevoli dell’importanza di questi meccanismi mentali e lavorare per favorire e rafforzare associazioni implicite positive nel proprio pubblico. Oggi la ricerca biometrica consente di misurare la forza dei valori di marca nei suoi consumatori: metodologie scientifiche come Implicit Association Test (IAT) o Implicit Reaction Time (IRT) permettono di valutare quanto profonda e sentita sia la convinzione a livello non-conscio rispetto ad attributi o valori strategicamente rilevanti per la marca, consentendo di andare a intervenire su alcuni piccoli dettagli per permettere, in caso le associazioni implicite giochino a sfavore del brand, di favorire reazioni istintive più positive. Se siete curiosi e volete approfondire, sappiate che ne abbiamo parlato in questo articolo del nostro blog.