Occhi che lacrimano senza sosta, la fronte che inizia a grondare di sudore, vampate di calore che quasi soffocano e chiudono la gola. Anche i più sfegatati fan del piccante non potranno negare che le sensazioni che si provano dopo aver assaggiato un peperoncino habanero o un cucchiaino di wasabi siano tutt’altro che piacevoli. Eppure, invece di smettere di mangiarli, eccoci a volerne ancora e ancora.
Come si spiega questo strano fenomeno? Come mai il nostro non conscio ci porta a desiderare spezie e sapori che ci fanno, anche solo per poco, soffrire?
L’impatto dei cibi sul nostro corpo
Ormai da cinquecento anni in Europa, Asia, Medio Oriente il peperoncino ha fatto l’ingresso nelle abitudini alimentari a quasi tutte le latitudini. Invece di rifuggire un cibo esotico e che fa letteralmente bruciare qualsiasi piatto, arrivato da quell’America Centrale a quei tempi ancora poco esplorata e misteriosa, la gente se ne innamorò immediatamente, chiedendone sempre di più.
Un comportamento davvero strano, ma non inusuale, almeno secondo Paul Rozin, professore di psicologia dell’Università della Pennsylvania. Sono diversi, infatti, cibi e bevande che pur avendo sapori, odori e colori tutto tranne che invitanti hanno riscontrato un successo senza precedenti. Un esempio? Il caffè: quanti rinuncerebbero a una tazzina d’espresso la mattina, nonostante le sue note amare e decise?
Il segreto del successo del caffè, così come quello del peperoncino, è l’impatto che assaggiarli ha sul nostro corpo, spiega Rozin. I nostri recettori sensoriali legati al gusto – dolce, salato, amaro, piccante, aspro – per millenni ci hanno guidato nella scelta del cibo, favorendo la nostra sopravvivenza. Ogni volta che la nostra bocca entra in contatto con un alimento o una bevanda, questi recettori inviano segnali molto distinti al cervello, determinando i nostri gusti in fatto di alimentazione. Ma questi non sono gli unici strumenti che il nostro corpo ha per definire ciò che stiamo assaporando: la lingua ha infatti recettori dedicati alla temperatura, al dolore, alla pressione, tutti elementi che permettono di definire in maniera decisa l’esperienza di gusto. Se però ci sono alimenti che, per via del loro sapore “soft”, non stimolano vigorosamente i nostri recettori, ne esistono altri che invece si divertono a stuzzicare il nostro cervello, proprio come fa il caffè, dandoci quella scossa di energia capace di fornirci la spinta giusta per continuare la giornata.
Il potere della capsaicina
Tra gli alimenti piccanti capaci di confondere il cervello, chiamati “brain deceiving foods”, c’è il tabasco: in particolare, ad attrarre l’attenzione degli scienziati è la capsaicina, molecola presente nella famosa salsa messicana e in tantissimi cibi che, solitamente, si fanno riconoscere per la loro piccantezza. Avete presente quando, dopo aver tagliato un peperoncino, inavvertitamente ci si tocca gli occhi ed essi, puntualmente, cominciano a bruciare? Questa reazione chimica è provocata proprio dalla capsaicina, molecola inodore e insapore che, a contatto con la nostra pelle, scatena irritazioni, dolori e bruciore.
La ragione per cui ci ostiniamo a mangiare cibi piccanti è da imputare proprio a molecole come la capsaicina: quando il tabasco entra in contatto con i recettori della nostra bocca, mandandola letteralmente a fuoco, il cervello interviene per compensare il dolore con neurotrasmettitori appositi. La capsaicina si ancora a un recettore delle cellule nervose chiamato TRPV1, che solitamente si attiva quando ci troviamo esposti a temperature molto calde: la molecola “piccante” gioca quindi con il nostro cervello, facendogli credere che il nostro corpo abbia davvero toccato o sia vicino a un oggetto incandescente. Le cellule nervose segnalano quindi un pericolo al cervello, che reagisce di conseguenza rilasciando endorfine, le molecole “benefiche” che solitamente servono ad alleviare il dolore.
Secondo gli scienziati, il piccante scatena nella nostra bocca una specie di falso allarme, che induce un rilascio di endorfine maggiore di quelle che il nostro palato danneggiato necessiterebbe. Questo dà il via a una reazione opposta a quella iniziale, in cui le endorfine agiscono sul nostro umore rendendoci quasi euforici, facendoci percepire il piccante non più come doloroso, ma come qualcosa di piacevole. Meccanismi simili sono stati osservati anche durante il consumo di altre spezie molto diffuse, capaci di aumentare il livello di sostanze neurochimiche benefiche nel nostro corpo e rendendoci di conseguenza più felici. Questo fenomeno è stato definito la desensibilizzazione da capsaicina.
Non è un caso che i peperoncini, nella cultura popolare, siano stati spesso usati come rimedio contro dolori di diversa origina: i benefici portati dalla capsaicina al nostro corpo non sono passati inosservati nemmeno alla medicina moderna, tanto che oggi diverse creme contro dolori muscolari, artrite o contusioni contengono questa molecola.
Un dolore “piacevole” e salutare
Oltre a renderci non consciamente più felici, sembra che il piccante sia anche un toccasana per la nostra salute. Uno studio apparso recentemente sul British Medical Journal ha tracciato la dieta di 485mila adulti cinesi, stabilendo che chi consuma più frequentemente cibi piccanti tende ad essere più in forma, nonché più longevo. Lo studio ha coinvolto volontari tra i trenta e i settantanove anni durante sette anni e i risultati, nello specifico, si sono dimostrati molto interessanti. Chi mangia cibo “hot and spicy” due volte alla settimana, ha registrato un 10% in meno di rischio di mortalità, mentre è stato osservato che mangiare piccante dalle tre alle cinque volte a settimana riduce drasticamente i rischi di ischemia e patologie cardiache, così come quelli di insufficienze respiratorie e persino di contrarre il cancro. Anche in questo caso, alla base di tutto potrebbe esserci la capsaicina, con le sue grandi e ormai dimostrare capacità anti-infiammatorie.
Insomma, sembra proprio che non ci sia motivo di evitare il “piacevole” dolore del piccante: teniamolo a mente quando ci faremo tentare dal menù del ristorante messicano dietro casa.
Comments by Gabriele Sebastiani