Chi di noi non vorrebbe essere come Cal Lightman, il protagonista della serie Lie to Me interpretato da Tim Roth? Uno studioso esperto della comunicazione non verbale, infallibile nel capire quando una persona mente. Purtroppo, però, essere perfetti nel comprendere gli altri è quasi impossibile. Quante volte è capitato, a tutti, di pensare che la persona di fronte a noi fosse arrabbiata… ma in realtà era spaventata, o sorpresa, e avevamo semplicemente interpretato male l’espressione del suo volto. C’è un’area del nostro cervello, l’amigdala, che ha il compito di leggere e interpretare le emozioni ed è dunque coinvolta nell’elaborazione delle sensazioni trasmesse dalle espressioni facciali. Però, il dato che viene elaborato non sempre corrisponde alla realtà dei fatti e per questo, a volte, diamo giudizi errati sulle situazioni che viviamo.
Ralph Adolphs, professore di Psicologia e Neuroscienze del California Institute of Technology di Pasadena, ha condotto uno studio che dimostra che quando guardiamo un viso, i neuroni dell’amigdala inviano degli impulsi elettrici come risposta. La ricerca è stata effettuata con dei test su un gruppo di persone alle quali sono state mostrate varie espressioni facciali. Ai soggetti è stato chiesto di riconoscere attraverso queste espressioni sei emozioni fondamentali: felicità, sorpresa, paura, rabbia, disgusto e tristezza. I dati sono poi stati analizzati con una tecnica basata sulla ricostruzione tridimensionale delle immagini cerebrali ed è stato rilevato che tutti i soggetti riconoscevano facilmente le espressioni felici, ma che alcuni erano in difficoltà nel riconoscere le emozioni negative, in particolar modo la paura e la tristezza. Le regioni superficiali corticali che si correlavano meglio con il riconoscimento dell’emozione erano nella corteccia parietale inferiore destra e nella corteccia destra anteriore dell’infracalcarina.
Il professor Adolphs e il suo team di ricerca hanno scoperto che ci sono due gruppi di neuroni nell’amigdala che rispondono alle emozioni del viso. Il primo gruppo, formato dai neuroni di monitoraggio delle emozioni, ha il compito di rilevare l’intensità di una singola emozione specifica, come la felicità o la paura. Il secondo, composto da neuroni che codificano l’ambiguità, segnala una stranezza dell’emozione percepita, che non è correlata con la reale natura dell’emozione stessa. Secondo i ricercatori, la chiave per comprendere come i neuroni dell’amigdala incidono sul processo decisionale, era proprio mostrare volti con espressioni ambigue. Infatti, le stesse espressioni erano valutate talvolta felici, altre volte di paura.
Un dettaglio molto interessante, è che la maggior parte delle persone conosce la sensazione che si prova nel momento in cui un’espressione pare troppo ambigua per poter essere categorizzata. Il fatto che i neuroni dell’amigdala segnalino comunque una decisione, in questo caso l’emozione, dimostra che l’amigdala è coinvolta nel processo decisionale e non solo nella rappresentazione dell’input sensoriale.
Dunque, non dobbiamo più sorprenderci se a volte interpretiamo male un’espressione facciale e se questo dovesse causare incomprensioni o litigi, potremo sempre dire che è colpa dell’amigdala.
Fonti ed approfondimenti
JNeurosci – journal of neuroscience
Science Daily – science news web site
Comments by Marco Ceste