Il 7 e l’8 luglio siamo stati invitati a Milano per partecipare al Social Business Forum 2015, sul cui palco si sono alternati esperti internazionali e manager delle più importanti realtà aziendali italiane. “Embrace digital disruption” è stato il tema di quest’anno, e suonava un po’ come un imperativo categorico per le aziende più tradizionali e restie a cambiare approccio. La tecnologia digitale sta infatti trasformando con irruenza tutti i settori aziendali, e chi non adotta questa nuova prospettiva di business rischia di essere fagocitato senza pietà.
Per i prossimi mesi continueremo a parlarvi delle visioni e delle strategie che sono emerse dall’evento, ma abbiamo scelto di cominciare con Ivan Ortenziinnovation designer e CEO di Ars et Inventio, la divisione di innovazione del gruppo Bip (Business Integration Partners). Il suo intervento è stato probabilmente uno dei più rappresentativi di ciò che è stato detto nei due giorni e lo ha fatto chiamando in causa una sfida tra due storici personaggi della Marvel, “Robocop vs IronMan, which side are you?”. Cosa c’entrano i due eroi con la digital disruption lo scopriamo insieme.

Cosa c’entrano i due eroi con la digital disruption lo scopriamo insieme.

 

le tre caravelle

Ivan, il suo intervento al Social Business Forum è cominciato con una startup del 1491, Colombo e le sue tre caravelle in rotta per le Indie. Poi ci ha detto che il primo Steve Jobs è stato l’inventore del frigorifero. Adesso invece siamo in piena era digitale, possiamo quindi considerarci parte di un processo evolutivo che appartiene alla storia dell’uomo o siamo gli attori di una vera rivoluzione?

Tutto quello che stiamo vivendo adesso lo abbiamo già vissuto nel passato, è un’evoluzione tecnologica e del vivere sociale dell’uomo su questa terra. C’è chi dice stiamo vivendo la terza grande onda di evoluzione. La prima è stata con la scoperta del fuoco, che ha cambiato radicalmente il modo di nutrirsi dell’uomo e ha formato la società tribale intorno al focolare. La seconda si è avuta con la ruota, che ha inciso nell’uomo la capacità di muoversi, di vivere e di condividere una certa socialità, non più solo tribale. Adesso si dice che questo terzo momento sia rappresentato dal web, il quale sta cambiando il modo dell’uomo di intendere la socialità stessa. Dal mondo tribale, al mondo sociale dello spostamento fisico, fino allo spostamento virtuale.

Un’altra tematica che mi piace ricordare è che la forza del cambiamento che stiamo vivendo è dovuta alla crescita demografica: più siamo più innoviamo, ma più siamo e più avremo la necessità di innovare. Quando saremo 12-13 miliardi, a quel punto non ci basterà più lo spazio fisico. L’età della pietra, l’età del ferro e l’età del bronzo non sono finite perché abbiamo terminato le pietre, il ferro e il bronzo, ma perché siamo andati oltre per bisogno o necessità. Prima c’era chi si sdraiava sui binari delle ferrovie, adesso c’è chi rovescia le auto di Uber. Noi però abbiamo la fortuna di vivere un’evoluzione che ha la portata di una rivoluzione per due fattori: i comportamenti e i modi di pensare. I nostri figli e nipoti non penseranno come pensiamo noi, ed è dovuto a questo nuovo concetto di spazio-tempo che è stato portato dal digitale e da tutto il corredo tecnologico che abbiamo.

Abbiamo una bella responsabilità e dovremo combattere anche le resistenze.Le resistenze sono fortissime e sono fondate sulla difesa di un modello di business consolidato e sulla difesa di una conoscenza, che sono difficili da mettere in discussione. Tutto quello che abbiamo studiato e imparato oggi non ha più valore. Il tasso dei non laureati tra le donne e gli uomini più ricchi al mondo è altissimo, e se prima era condizione necessaria e quasi sufficiente per avere successo, adesso dobbiamo ridiscutere anche questo.

collettività lego

Una delle sue frasi che ci ha colpiti è stata “l’innovazione digitale è un fenomeno collettivo e sociale che ha amplificato e migliorato le aziende senzienti”. Quali sono le caratteristiche di un’azienda senziente?

Nella Ricerca e Sviluppo l’inventore può essere un singolo, mentre l’innovazione è sempre un fenomeno collettivo e sociale. Anche l’azienda è un fenomeno collettivo ed è costituita da essere senzienti, che provano emozioni, mentre l’intelligenza artificiale anche se ci batterà ai videogiochi difficilmente sarà contenta di averci battuto. Cos’è quindi un’azienda senziente? È un’azienda che sviluppa 5 capacità che possiamo indentificare in 5 C: connettere (persone, persone a cose, persone a servizi), condividere (asset e conoscenze), collaborare (con esperti di riferimento ma anche tramite sistemi di collaborazione interna), contribuire all’ecosistema a cui appartiene (Corporate Social Responsability, Corporate Shared Value), e infine competere, altrimenti non sarebbe un’azienda. Se prendiamo ciascuna di queste 5 C, capiamo come il digitale amplifichi ognuna di esse. La tecnologia digitale infatti taglia in maniera trasversale il modello di business dell’azienda, può impattare sia i processi, trasformando e abbassando i costi, sia il modo di stare sul mercato dell’azienda, ampliando lo spettro di influenza e di azione.

ironman vs robocop

Il suo antidoto all’inerzia aziendale nei confronti del digital prevede due diversi approcci: la digital transformation in stile Robocop, “to be digital”, e la digital disruption in stile Iron Man, “being digital”. Qual è la differenza?

La aziende esistenti stanno guardando la tecnologia digitale come una necessità per trasformarsi e digitalizzare il proprio modello di business, un po’ come Robocop, un poliziotto trasformato in un essere bionico. Dall’altra parte la tecnologia digitale ha abilitato dei digital business model, ha dato vita ad aziende che il digitale ce l’hanno dentro, sono come Iron Man. Le prime per esempio sono delle banche o dei retail, le seconde fanno banca o fanno retail, ma non lo sono, tipo PayPal..

Questa è la differenza tra il to be e il being. Le prime sono fortemente legate e chiuse da un modello regolatorio che vincola l’attività, le seconde aggirano le regole e hanno una strategia dirompente. Sicuramente un’azienda Ropocop può lanciare una strategia disruptive, la consapevolezza è che non può farlo internamente al modello di business esistente, perché la filosofia aziendale, la cultura e il contesto non lo permettono. Ci sono però delle strategie che supportano lo sviluppo di attività Iron Man partendo da un grosso commitment aziendale, oppure creandole al di fuori dell’azienda.

ottosublog ortenzi innovation

Lei è un innovation designer, ma in che modo un processo di design può affrontare le tematiche della creatività, della gestione dell’innovazione in azienda e la creazione di valore? Ci indica i passi fondamentali di questo processo?

Io racconto il mio mestiere come il mestiere delle tre A: siamo degli allenatori di persone, degli architetti che disegnano e realizzano, e un po’ degli alchimisti. Non esiste un processo di innovazione replicabile e applicabile in diverse aziende o in diversi settori. È un perenne lavoro di personalizzazione dei modelli e degli strumenti che si hanno a disposizione, di reiterazione e monitoraggio continui.

In 15 anni abbiamo capito che si può innovare anche il modo di fare innovazione, e non esiste un modo corretto che sostituisce la metodologia precedente. Tutti gli strumenti vanno integrati e personalizzati sulla cultura e il DNA dell’azienda.

Ovviamente si ha un metodo di lavoro che fa da linea guida e ha delle fasi ben precise: prima si definisce il perimetro in cui si lavora, si esplorano le esperienze passate e in essere, l’ecosistema nel quale l’azienda è situata, successivamente vi è una fase di ideazione e di creatività, poi una fase di analisi di quello che si è ideato e una fase di prototipazione più o meno rapida che ci consente di arrivare a dei risultati tangibili su cui condurre test reiterati avendo come obiettivo finale quello dell’implementazione. Non deve mancare però il grado di autonomia e la confidenza di poter sbagliare. Il fallimento è un lato culturale, ma la capacità di analizzare il fallimento è uno strumento di lavoro dell’innovazione. Senza questi ingredienti, qualsiasi processo di innovazione in qualsiasi azienda fallirà.

ottosublog ortenzi cura anticorpi

Parafrasando le sue parole, in Italia l’innovazione non è più un lusso che possiamo permetterci, ma una necessità che dobbiamo attuare sotto qualsiasi forma. Esiste una cura italiana per quelli che lei chiama gli “anticorpi che combattono l’innovazione”?

I sistemi e le tecnologie di Santiago del Cile, di Berlino o Singapore, non sono il copia-incolla dei modelli della Silicon Valley, ogni sistema ha le sue peculiarità e non è replicabile in altri luoghi. L’Italia è un Paese di innovatori e di innovazione, ma non è un Paese per l’innovazione. Supportiamo, anche grazie all’università e all’iniziative private, i primi stadi dei processi di innovazione, ma quello che ci manca è tecnicamente il layout industriale, la capacità di costruire un sistema che consenta i passi successivi.

Bisognerebbe capire che lo stato e le istituzioni non si possono accollare il 100% di quest’onere. Molto probabilmente una delle possibili soluzioni è permettere che le corporate italiane, che sono quelle più interessate e quelle che hanno la possibilità di farlo, giochino un ruolo determinante nella creazione di in un sistema economico adatto all’innovazione. Il modello italiano può essere la fusione tra startup, innovazione tecnologica, piccole e medie imprese e il mondo delle corporate. Questa è la sfida che abbiamo in questi anni e speriamo di trovare la chiave di volta che metta insieme tutto.

Mi sembra di leggere dell’ottimismo tra le righe.
Se fossi pessimista non farei questo mestiere!

Intervista a Ivan Ortenzi